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La mer, la fin...

mercoledì 8 ottobre 2008

Italia/Europa. Lettera alla Confindustria.


Lettera aperta alla Presidente di Confindustria
degli europarlamentari Monica Frassoni, Umberto Guidoni, Roberto Musacchio e Guido Sacconi


Bruxelles, 7 ottobre 2008


Gentile Signora Marcegaglia,

abbiamo appreso ora della sua decisione di non venire domani a Bruxelles e vorremmo quindi reagire attraverso questa lettera aperta alle dichiarazioni sul Pacchetto energia in occasione dell'assemblea dei giovani industriali a Capri:«Ci siamo dati obiettivi unilaterali irrealistici senza coinvolgere gli altri grandi Paesi produttori di CO2. Anche una riduzione del 20% non inciderebbe a livello globale e avrebbe costi altissimi, stimati in 20 miliardi di euro l'anno da qui al 2020, sia a livello industriale che sociale».

Immaginiamo che anche Lei, come il ministro Ronchi, vorrebbe chiedere alla Ue: l'aumento del numero di aziende e l'estensione dei settori produttivi cui sarà possibile assegnare quote di emissione fuori asta (quindi gratuite), che dovranno andare anche alle centrali termoelettriche; un maggiore ricorso ai progetti del Clean Development Mechanism e Joint Implementation, ossia i meccanismi flessibili che consentono a uno Stato membro di godere di crediti derivati dalla riduzione di emissioni realizzate in paesi terzi; ed infine che gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni non siano vincolanti.

Pensiamo che se queste proposte fossero accolte il risultato ottenuto sarebbe quello di riaprire il difficile accordo raggiunto un anno fa dai Capi di Stato e di Governo, di ignorare i positivi negoziati che hanno visto impegnati tutti i gruppi politici nel Parlamento europeo per mesi di lavoro, lo studio di impatto approfondito e le numerose consultazioni tra tutti i soggetti sociali realizzate dalla Commissione. Già le prime indicazioni provenienti dal voto di oggi in commissione ambiente del Parlamento europeo hanno chiaramente emendato la proposta di Decisione "Condivisione degli sforzi" e la proposta di direttiva ETS ed indicato come il percorso da seguire sia quello in difesa del clima e per il conseguimento di obiettivi europei vincolanti e con mandato automatico alla Commissione europea di adeguarli a meno 30% di emissioni con il raggiungimento di un accordo internazionale.

Noi pensiamo che la strategia del governo italiano sia profondamente sbagliata e rappresenti un grosso rischio per la nostra industria e per l'Europa; riteniamo che si fondi su dati imprecisi e su una totale sottovalutazione del grande, positivo potenziale che per il nostro paese rappresenta la sfida della riduzione delle emissioni, dell'investimento nelle energie rinnovabili e nel risparmio energetico.

In questa lettera vorremmo brevemente esporre le ragioni per le quali noi pensiamo che la posizione espressa da Confindustria e dal Governo Berlusconi non solo non siano condivisibili, ma, se trovassero seguito, provocherebbero conseguenze nefaste su tutta la strategia europea sul clima.

1. I dati sui quali Lei si basa, come ha fatto non meno di 15 giorni fa il Ministro Ronchi, per definire i costi per l'industria italiana non sono pubblici e quindi non possono essere discussi e confutati correttamente; si riferiscono allo studio solo preliminare dell'Istituto Rie di Bologna che però non è ancora stato reso pubblico: ciò nonostante il Ministero dell'Ambiente ne ha rielaborato alcune proiezioni basate su dati non attendibili e metodologicamente non corretti. Vorremmo per esempio capire perché i costi per l'applicazione delle direttive 20/20/20 ammonterebbero, per la sola Italia, a 20 miliardi di euro l'anno, quando la Commissione, nell'unica valutazione di impatto riconosciuta esistente, parla invece di un costo, in investimenti e per tutta la Ue di 91 miliardi nel 2020 (che per l'Italia sarebbero dunque solo di 8) e di un risparmio di 50 miliardi in importazioni di idrocarburi e di 10 miliardi per minor inquinamento, portando il costo reale a 31 miliardi (di cui solo 2,7 per l'Italia). E comunque Lei converrà che non è certo questo un metodo serio per discutere e convincere. Le chiediamo dunque di pubblicare quei dati e di confrontarli con quelli di cui disponiamo noi, che sono poi quelli della Commissione.

2. Che ci piaccia o no, i cambiamenti climatici avanzano senza tregua, se non ci muoviamo rapidamente per limitare l'aumento di temperatura nei prossimi decenni entro i 2°C, il sistema economico mondiale dovrà pagare dei costi altissimi, che il rapporto di Nicholas Stern stima tra il 5 e il 20% del PIL: ben altra cosa rispetto allo 0,6% preventivato dalla Commissione per l'applicazione delle direttive 20/20/20 e perfino rispetto alle stime pessimistiche del governo italiano. L'Europa deve arrivare ai negoziati del dopo Kyoto con le carte in regola per potere avere un impatto sia sul clima che sugli altri paesi e regioni del mondo che oggi non hanno ancora deciso da che parte stare. In concreto, perché l'UE abbia una posizione negoziale credibile a Poznan nel prossimo dicembre ed a Copenhagen nel 2009, si deve arrivare ad un accordo in prima lettura sul pacchetto clima/energia entro dicembre. La rimessa in questione degli obiettivi 20/20/20 e di alcuni suoi aspetti cruciali come quelli citati più sopra renderebbe impossibile condurre qualsiasi negoziato sul Dopo Kyoto. E, d'altra parte, lei non può ignorare il fatto che, nel malaugurato caso di mancato accordo, la legislazione prevede già ora che si adottino misure compensative per i settori energivori, più esposti alla competizione globale.

3. Nel 1997, al momento della sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, l'Italia si impegnò a ridurre del 6,5% le sue emissioni rispetto al 1990. Ebbene, se venissero mantenuti gli impegni previsti dal tanto contestato pacchetto energia, l'Italia[1] <outbind://61/#_ftn1> dovrebbe ridurre le sue emissioni di solo il 5% rispetto al 1990. Tutti gli altri paesi importanti (Germania, Francia, Regno unito) hanno obiettivi assegnati più ambiziosi rispetto ai nostri. Perché dobbiamo sempre accettare di essere meno competitivi degli altri?

Signora Marcegaglia, se vi è un insegnamento che possiamo ricavare dalla crisi finanziaria di questi giorni è che è tornato il momento di occuparsi di economia reale. Vogliamo davvero difendere la competitività delle aziende italiane? Allora non c'è altra strada, nel breve e nel medio termine, se non quella di puntare a ciò che davvero abbatte i costi dell'approvvigionamento energetico, ossia il risparmio e l'efficienza energetici, e alle tecnologie per le fonti rinnovabili, sulle quali abbiamo molto da dire al resto del mondo. Il Presidente Barroso ha giustamente sottolineato il grande potenziale del pacchetto energia rispetto alla creazione di migliaia di nuove imprese (a partire dalle ESCO, le imprese che aiuteranno le aziende nell'aumento dell'efficienza energetica dei propri consumi) e di milioni di nuovi posti di lavoro.

Già oggi solo in Germania il settore delle rinnovabili genera 240 miliardi di dollari di fatturato e dà lavoro a 250.000 persone (solo nell'eolico si sono visti aumentare i posti di lavoro di 8.000 unità nel 2007). La difesa della competitività italiana ed europea non si fa annacquando e ritardando l'applicazione del pacchetto energia, ma investendo risorse sulla ricerca e sullo sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale, le uniche che possono ridurre la dipendenza dai combustibili fossili.


Guido Sacconi, Roberto Musacchio, Umberto Guidoni, Monica Frassoni

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