Romagnoli e Logli non faranno il bis
Non si ricandidano alle amministrative, il Pd ricomincia da zero
Un summit infuocato ieri a Firenze poi la riunione con le rispettive giunte e la lettera alla città. Quattro giorni di calvario
PRATO. E’ finita. Tutti bocciati. La poltica pratese ricomincia da capo. Da zero. Un terremoto politico di proporzioni devastanti. Il sindaco Marco Romagnoli e il presidente della Provincia Massimo Logli, uniti dal destino, hanno cominciato e finiscono assieme. Hanno fatto un passo indietro, quello voluto dal partito, hanno rinunciato a quelle candidature che spettavano loro. I numeri li hanno abbattuti, quelli del sondaggio choc, che precipita i vertici politici della città e affonda il partito. Non saranno loro i candidati naturali del Pd alle amministrative, partito che dovrà reggere, da qui a sei mesi, l’urto di una città senza più “generali”.
Era nell’aria, è vero. Ma ora è accaduto. Il sindaco e il presidente della Provincia, ghigliottinati, come è successo con Cofferati a Bologna, al primo mandato, hanno consegnato la loro verità ieri pomeriggio alle rispettive giunte: è finita - la sintesi dei loro discorsi - ma dobbiamo continuare a lavorare. Perchè il primo obiettivo è scongiurare quella che appare come una naturale conseguenza: non fare più nulla, appoggiare penna e calamaio, e aspettare che i mesi trascorrano. Commozione, silenzi, rabbia, delusione, scoraggiamento. Brutto clima sia in palazzo comunale sia in palazzo Buonamici. «Ci sono ancora e resterò - ha detto Romagnoli ai suoi riuniti - per rispetto verso la città, ma soprattutto verso me stesso perchè voglio lasciare un Comune migliore di come l’ho trovato». E’ lì che si è spezzata la voce. Ma ha anche aggiunto: «Da qui in avanti è il partito nel suo complesso che deve assumersi la responsabilità del cambiamento».
La verità alla città è stata consegnata in due lettere aperte (riportate integralmente in questa pagina) che Romagnoli e Logli hanno scritto rinchiusi nei rispettivi uffici.
Giornata convulsa, anche quella di ieri, difficilissima. Partita con un nuovo summit a Firenze, quello definitivo. Logli e Romagnoli hanno riferito le loro decisioni a una platea di big politici di Prato e Firenze. Non mancava nessuno: i deputati, il ministro ombra, i consiglieri regionali, i vertici del partito. Duro Romagnoli che ha addolcito col passare delle ore la sua posizione, ma che era partito determinato a bacchettare il Pd. Più morbido Logli. Identica la conclusione.
Ma al passaggio di ieri si è arrivati dopo quattro giorni di calvario. La svolta si è avuta domenica sera. Con i risultati del sondaggio sul tavolo (passato dalle mani del segretario regionale Andrea Manciulli a quelle del governatore Martini e poi comunicato al segretario provinciale Benedetta Squittieri), Romagnoli ha convocato a casa sua una riunione ristretta - erano in nove, quelli che contano - per comunicare che i margini della ricandidatura erano strettissimi. La conferma a questa oggettiva difficoltà è venuta la mattina successiva, lunedì, in un incontro a due con il governatore Claudio Martini, il più solido sostenitore di Romagnoli, almeno fino a venerdì, ma che poi si è arreso davanti all’evidenza dei numeri. Già da inizio settimana, dunque - nonostante gli sforzi per tenere la crisi sotto il pelo dell’acqua - almeno il percorso che il sindaco avrebbe fatto era tracciato. La questione Logli si è aperta proprio lo stesso giorno. Non era uscito male dalle consultazioni del segretario Benedetta Squittieri, aveva una squadra di supporter agguerriti, l’intenzione era di andare avanti. Poi il sondaggio, un’altra volta, l’evidenza di un gradimento pessimo. Il consiglio di «pensarci su» per un po’, le ore febbrili trascorse in confronti tesi, telefonate, riunioni, la fatica di ascoltare pareri, a volte contrastanti, infine una cena, quella di martedì, con i maggiorenti del suo partito e la determinazione finale di non opporre più resistenza per non creare problemi ulteriori. E così, la politica pratese ha voltato pagina drasticamente nel momento di minor appeal della sua storia. C’è chi dice: lo facciamo per dare una risposta forte a ciò che la città ci chiede. C’è invece chi sostiene che il rischio è enorme, a pochi mesi dalle elezioni, e che qualcuno poi se ne dovrà assumere la responsabilità. E la barca va, ancora senza timoniere.
Cristina Orsini
L’occasione perduta del Pd pratese
Non c’era bisogno di un sondaggio per sapere che la città è in crisi economica e di identità e che non era entusiasta degli amministratori. Questo per dire che la bocciatura in extremis di Romagnoli e Logli è soprattutto un’occasione perduta e una sconfitta per il Pd pratese. Non si doveva arrivare alle ultime 24 ore per rovesciare il tavolo delle candidature finendo per scaricare, anche un po’ ingenerosamente, tutto il peso delle difficoltà su sindaco e presidente.
Gli elementi della crisi erano tutti presenti anche sei mesi fa. Se fosse stata affrontata allora la questione della ricandidatura avrebbe potuto essere una formidabile occasione di democrazia e partecipazione, insieme di bilancio e dibattito sul presente e sul futuro della città; eventualmente un punto di partenza per lanciare le primarie, rianimando la base Pd.
Così non è stato. Per mesi il partito è stato assente sui grandi temi cittadini, mentre una spessa nebbia ha ammantato il dibattito segreto sulle candidature (che pure c’era). In mezzo alla nebbia, il sindaco, lasciato appeso al cartello della sua ricandidatura annunciata in solitudine e nel silenzio. Si è scelto di dirimere la questione nel chiuso di poche stanze, fino alla decisione finale. Eppure non tutto può essere imputato agli amministratori locali: non la crisi epocale del tessile, non la stravittoria di Berlusconi, il clima diverso nel Paese, i riflessi su Prato di questioni come l’immigrazione e la sicurezza diventate, con qualche artificiosità, cavalli di battaglia martellanti del governo.
Il Pd arranca ovunque (lo dicono tutti i sondaggi nazionali), fa fatica a scaldare i cuori dei potenziali elettori di centrosinistra, che non capiscono, tanto per dirne una, perché un partito nato per unire si ritrovi a fare i conti con “correnti” organizzate.
Adesso, a pochi mesi dal voto, il Pd pratese riparte da zero. E intanto offre al centrodestra una campagna elettorale già pronta, chiavi in mano. Bel risultato. (p.t)
Carte buone per Abati e Stancari
La politica ragiona già sul “domani”, tremano gli assessori
Assetti a rischio rivoluzione. L’incognita Del Vecchio, vacillano i presidenti di Met e Pecci
CRISTINA ORSINI
PRATO. Succede sempre così. Perché il mondo della politica ha, tra le altre, come caratteristica quella del cinismo. Alla quale si aggiunge, a Prato, anche una grande preoccupazione. Un attimo dopo aver archiviato candidature mancate o ritirate, si volta pagina è si comincia a disegnare gli scenari futuri. “Domani” a Prato è già cominciato.
Il grande lavoro di questi ultimi tre giorni - da quando cioè è stato chiaro che le riconferme di Marco Romagnoli e Massimo Logli, nessuno le avrebbe potute reggere - è stato quello di sondare le disponibilità per eventuali nomi alternativi. In ballo, in primis, quello del futuro sindaco. Sul quale il partito sta cercando disperatamente il consenso più ampio. Sarebbe l’errore finale - ne sono certi - che con ogni probabilità comprometterebbe la tenuta elettorale di Comune e Provincia, dare la stura al balletto degli sfidanti veri: ovvero portare in piazza le spaccature del partito con primarie. Ciò significa che il Pd si sta impegnando a individuare e a presentare alla città un candidato il cui nome sia unanimemente riconosciuto come quello migliore per questa fase. Uno che gira vorticosamente nelle stanze che contano c’è già ed è quello del presidente del Consiag Paolo Abati. Giovane, poco più che quarantenne, con meriti acquisiti come manager ma con esperienza nell’amministrazione pubblica (ex assessore in Comune) e con un rapporto più che solido nel partito. Potrebbe essere lui l’uomo nuovo. E c’è chi mormora che se la volontà di Abati fosse quella di accettare la sfida, in pochi oserebbero contrastarlo. Sarà lui? Si capirà molto presto. Un po’ meno chiara la situazione per quanto concerne la poltrona di presidente della Provincia. Con una certezza, andrà anche questa volta a un ex Margherita. Sul fronte di palazzo Buonamici un partito c’è già ed è quello che vede nella figura di un attuale assessore in Comune la persona più qualificata a sedere su quella poltrona. Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi e tutto è ancora da discutere ma gira il nome di Maria Luigia Stancari, cattolica, ottimi rapporti con la curia, ottimo, altrettanto, lavoro compiuto in questi cinque anni nel campo del sociale. Ma gli appetiti sulla poltrona di presidente della Provincia sono numerosi. E se - ne è convinto il partito - sorprese non dovrebbero esserci sulla candidatura del futuro sindaco con sfidanti dell’ultima ora, qualche problema invece potrebbe nascere sull’altra.
Quanto resterà degli attuali assetti politici, una volta terminata la fase più turbolenta del terremoto in corso? Tanto, tantissimo cambierà. Quasi tutto. E sono molti coloro i quali in queste ore temono che il loro futuro sarà ben diverso da quello attuale. Qui entra in campo anche il risultato delle consultazioni tra i duecento dell’assemblea provinciale che il segretario Benedetta Squittieri ha concluso sabato scorso. Giudizio diffusamente negativo sulla giunta comunale. Ovvio che è ancora prestissimo per fare pronostici ma c’è chi scommette che nel prossimo esecutivo saranno pochi - forse un paio, al massimo tre - gli assessori riconfermati. Epurazione profonda anche nelle fila della giunta provinciale. E veniamo agli enti, altro argomento doloroso. Trema il presidente del Pecci Valdemaro Beccaglia, nominato da Romagnoli, ma non sta tranquilla nemmeno Geraldina Cardillo, assessore allo Sport in Comune ma anche presidente del Teatro Metastasio.
In una botte di ferro invece Adriano Benigni, che è stato, nelle chiacchiere da bar, anche nella rosa dei papabili a sindaco. L’attuale presidente di Asm potrebbe succedere - se l’ipotesi Abati-sindaco si concretizzasse - al presidente di Consiag. Altrimenti si vocifera di un passaggio in giunta. Ma è tutto prematuro. Resta l’incognita Gianni Del Vecchio che resta silenzioso, per il momento, ma che di certo idee sulla città ne ha.
La Caporetto del Pd in un sondaggio
Romagnoli lo rivoterebbe il 30%, Logli il 26%. Solo il 36% il partito
Un calo di consenso di undici punti rispetto alle Politiche di sei mesi fa
PRATO. Sono i numeri della disfatta. Degli uomini, ma anche del partito. Sono i numeri alla base del cataclisma politico che Prato sta vivendo e che probabilmente porteranno a quel rinnovamento alla radice chiesto a gran voce dai cittadini. Ma che, nell’immediato, hanno avuto l’effetto-ghigliottina: di far saltare le teste del sindaco Romagnoli e del presidente della Provincia Logli. Sono ancora parziali i numeri del sondaggio commissionato dal Pd regionale a Stefano Draghi.
Le carte sono state consegnate al segretario regionale Andrea Manciulli la settimana scorsa e passate per le valutazioni al governatore Claudio Martini. I dati che contengono sono ampiamente indicativi di una situazione di forte scontento.
Premessa: la base del sondaggio, sulla quale sono state fatte le comparazioni, sono i risultati delle Politiche di sei mesi fa. Alla domanda - il campione per il momento è sconosciuto - se ricandideresti il sindaco uscente, ha risposto sì il 30% degli intervistati (la forbice potrebbe aumentare di un paio di punti le risposte affermative su tutte le risposte). Alla stessa domanda posta sulla ricandidatura del presidente della Provincia ha risposto in maniera affermativa il 26% degli intervistati. Malasorte, anche se non con punte così basse, anche per il Partito democratico. Solo il 36% degli intervistati ha detto che lo voterebbe.
Sono queste le percentuali del disastro. Perchè il Pd a Prato alle scorse Politiche ha raggiunto il 47% dei voti (quindi sarebbe calato di 11 punti in sei mesi) mentre - altro elemento forte - nelle scorse amministrative i Democratici di sinistra, da soli, avevano superato il 35%. E perchè sindaco e presidente della Provincia, sempre alle scorse amministrative, superavano abbondantemente la soglia del 50% (addirittura Romagnoli, nel sondaggio Ekma di tre mesi fa, aveva raggiunto il 53%). Cosa è accaduto? E’ ciò su cui il partito pratese si sta interrogando con la volontà, però, di dare presto delle risposte. E con una consapevolezza, tra le altre: che i risultati del sondaggio di Prato sono i peggiori in assoluto a livello toscano. Indicative anche le dichiarazioni di voto. Secondo il sondaggio il centro sinistra arriverebbe al 48% mentre il centro destra al 47%, la Lega raggiungerebbe il 5% (quindi raddoppierebbe) mentre sarebbe fortemente in crescita anche l’Italia dei valori.
Gli analisti del partito sono al lavoro perché, sempre secondo il sondaggio, la base elettorale comunque resisterebbe. Alla domanda, infatti, se a Prato alle prossime amministrative vincerà il centrodestra o il centro sinistra, il 58% ha indicato i secondi.
Ma è sulla quota di elettori del centrosinistra che hanno dichiarato la propensione all’astensione che l’establishment è saltato sulla sedia: la quota è pari al 30%. Mentre l’80% si dichiara insoddisfatto della politica e chiede un cambiamento serio nel passo di marcia e un altro 80% dichiara di essere pessimista sul futuro.
Quali sono i problemi più sentiti dai cittadini? A pari merito: lavoro e immigrazione.
C.O.
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