TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

lunedì 24 novembre 2008

Scuola. La primaria non piace alla destra.

W le maestre!

mv

il manifesto del 23 Novembre 2008
SCUOLA
Il protagonismo delle maestre di Mario Sai

Una delle novità di questo prodigioso movimento in difesa della scuola pubblica sono le maestre e i maestri delle elementari scesi in piazza a difesa di un progetto educativo che è il vero obiettivo dell'attacco del governo. È, quindi, necessario, nella nostra discussione, capovolgere il punto di vista.

Sono i tagli del ministro Tremonti a servire da copertura a una reazione in campo educativo che ha i suoi punti di forza proprio in quegli atti simbolici (il grembiulino, i voti, la condotta) rispetto ai quali il senso comune, sia a destra che a sinistra, vede, invece, un rassicurante ritorno al buon tempo andato. Anche sul «maestro unico» l'opposizione politica ha fatto proprie le ragioni sindacali e di garanzia del servizio per le madri lavoratrici, ma non la questione di fondo. La scuola elementare italiana, che è tra le migliori del mondo, non piace alla destra, perché in essa, nelle sue maestre e maestri, è operante quell'insieme di culture di innovazioni pedagogiche e pratiche educative che, sono nate dalla rivoluzione copernicana dell'«educazione attiva»: mettere al centro l'attività spontanea, personale, produttiva dei bambini; educare attraverso la relazione con l'ambiente e l'esperienza pratica; dare un ruolo formativo all'attività manuale; individualizzare il programma educativo per esaltare attitudini e recuperare difficoltà di ciascuno. L'abolizione del grembiule ribadiva l'idea che la scuola non doveva essere una caserma, ma una comunità, un modo di vita sociale. Le maestre e i maestri, soprattutto dopo l'ingresso di tanti giovani con i concorsi degli anni '70, nella loro pratica quotidiana hanno cambiato profondamente il vecchio modo di fare scuola: il lavoro di gruppo al posto della lezione dalla cattedra; la biblioteca di classe, i quotidiani, i nuovi mezzi audiovisivi al posto del libro di testo; i giudizi al posto dei voti. È stato un processo lungo e difficile con protagonisti i maestri «sperimentatori» e pedagogisti, laici e cattolici, associazioni, riviste, comitati di quartiere e consigli di zona sindacali. La riforma dei programmi della scuola elementare del 1985 fu il punto di arrivo di questo movimento che faceva i conti con grandi trasformazioni sociali e di costume (dalla conquista delle 40 ore con i contratti del 1969 all'ingresso massiccio delle donne nel lavoro) e che aveva promosso una diffusa sperimentazione di nuove pratiche educative e tecniche didattiche, dalle «classi aperte» con più insegnanti che collaboravano tra loro allo studio dell'ambiente e ai laboratori creativi.

Il tempo pieno, la compresenza di più insegnanti nascono dentro queste pratiche. Con esse si dà concretezza al bisogno di una scuola che renda liberi e uguali; che «promuova» tutti nel senso della maturazione e della consapevolezza; che dica basta all'individualismo, alla competizione, al massacro della selezione scolastica che ribadisce con forza quella sociale. Da qui nasce una nuova capacità di costruire socialità, di includere i bambini immigrati come i «diversi» per problemi fisici, psichici e sociali. Tutto questo complesso processo ha trovato un suo riconoscimento nella legge n. 148 del 1990 che la signora ministro Gelmini ha deciso di manomettere. E non ci consoli la possibilità - non a caso sostenuta dalla Lega nord - che laddove ci saranno risorse e richieste delle famiglie il tempo pieno rimarrà. In questo modo della legge si vogliono salvare i suoi insuccessi. La condizione che i comuni fornissero le strutture, a cominciare dalla mensa, ha fatto sì che il tempo pieno si realizzasse solo nel 27% delle classi, in larga misura al Nord (a Milano città il 96% delle classi è a tempo pieno). Oggi la sinistra dovrebbe dire che è una priorità superare questa condizione. Ci vogliono risorse perché finisca nel nostro paese lo scandalo per cui i bambini che se lo possono permettere hanno pagate dalle famiglie le attività pomeridiane e gli altri stanno davanti alla tv o per strada. Solo così si può volgere in positivo l'altro punto debole della legge: avere collegato la scelta di più insegnanti per classe molto al calo demografico (i bambini delle elementari in 30 anni si sono dimezzati) e poco all'arricchimento e all'ampliamento dell'offerta formativa.

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