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La mer, la fin...

sabato 8 novembre 2008

Economia. Etica e microimprese

Una riflessione interessante, quella pubblicata dal Tirreno, che meriterebbe maggiori approfondimenti...
MV

da il Tirreno del 08/11/08
Ripartiamo dalla lealtà e dalle micro imprese

A proposito dei diversi interventi sul tema della concorrenza sleale nel distretto pratese, di corresponsabilità dei committenti, di cannibali, vampiri e furbetti, e a proposito della domanda fatta giorni fa: “quale etica nel mercato?” ritengo che la situazione sia ormai chiara.
Data la quasi impossibilità di aumentare ulteriormente la produttività delle lavorazioni, avendo essa raggiunto, a Prato, livelli che non ha uguali al mondo, l’impossibilità di fare nuovi investimenti e anzi la discontinuità delle commesse di lavorazione che impedisce un ottimale utilizzo degli impianti con conseguente riduzione della stessa produttività, non ci restano che tre alternative: “o vinci al totocalcio, o vai a Machu Picchu o sposti la chiesa” di nutiana memoria. Voglio dire: o aumenti le tariffe di lavorazione per coprire i costi, o vai sulla illegalità e su comportamenti border line o cessi l’attività perché non guadagni più nulla.
A questo punto basta accordarsi sulla situazione economica e sociale della città che vogliamo come obiettivo di arrivo: un sistema locale coeso e che produce ricchezza o viceversa un sistema locale dai rapporti sfilacciati, senza fiducia e povertà crescente. La risposta sembra scontata ma non è così. I sistemi locali di piccola impresa sono stati spesso accusati in un recente passato, con campagne demonizzatrici, di gravi carenze e responsabilità di mancato sviluppo. I dati smentiscono queste indicazioni: non è vero che nei sistemi locali vi è maggiore evasione fiscale, minore tenuta della occupazione...insomma che piccolo non è più bello. Anzi sono convinto che il nostro Paese se vorrà ripartire sul sentiero dello sviluppo dovrà basarsi sulle eccellenze dei saperi poliedrici dei nostri micro imprenditori e lavoratori che hanno nel loro dna i cromosomi delle “botteghe” rinascimentali. La grande impresa, oltre ad aver compiuto numerosi danni sia a livello locale che nazionale, è difficile da radicare nel nostro “homo distrettualis”.
Ora che sono svaniti gli appelli alle aggregazioni, alla grande impresa aliena, forse è il momento di tornare alle logiche distrettuali dove è risaputo che tra le numerosissime entità economiche non vi sono solo rapporti di concorrenza ma anche di “solidarietà” e di identità di obiettivi. Se, nella logica di distretto, torniamo alla nostra domanda iniziale, ritengo che il committente che accetta una lavorazione sottocosto deve essere consapevole che: 1)distruggerà valore del lavoro e ricchezza della comunità pratese di cui fa parte, 2)alimenterà forme di illegalità e di comportamenti border line di chi, magari per sopravvivere ancora un po’ è portato a praticarla, 3) riduce la capacità produttiva e il numero di occupati nel complesso del sistema delle piccole imprese distrettuali, con l’ulteriore conseguenza di minare le proprie basi produttive per il futuro.
Ciò mi porta ad una nuova domanda: coloro che pontificano di etica nel distretto sono le stesse persone che accettano lavorazioni sottocosto? Se così fosse non potremo accettare le loro indicazioni e le loro facce angeliche. Non ci possiamo nemmeno nascondere dietro la non conoscenza dei costi di lavorazione in quanto, anche se non aggiornatissimi, sono oggetto di indagini della Camera di Commercio e di altre associazioni come il Consorzio Lavorazioni Tessili la cui missione specifica da oltre 30 anni è il calcolo dei costi di lavorazione. Certo che i prezzi di vendita dei tessuti sui mercati internazionali non sono nel complesso favorevoli, ma se vogliamo lavorare sottocosto, dobbiamo accettare le conseguenze. Tento quindi di riproporre e difendere il modello distretto, in quanto lo ritengo una forma economica/sociale superiore ad altre. Modello con un forte connotato di democrazia in quanto non vi è concentrazione della forza. Le crisi finanziarie di questi giorni mi sembrano confermare queste tesi e mi riportano alla memoria le parole di E. Hobsbawn “l’ideale della sovranità di mercato, non è un complemento, bensì un’alternativa alla democrazia liberale”.
Luciano Tanini, artigiano

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