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La mer, la fin...

domenica 9 novembre 2008

Teatro. Ieri e oggi alla Baracca, i concubini di Prato

Si chiamavano Mauro Bellandi e Loriana Nunziati e furono definiti dall'allora Vescovo di Prato Pietro Fiordelli, pubblici concubini e peccatori, per essersi sposati solo con rito civile. La coppia reagì con una denuncia nei confronti del Vescovo, che in un primo tempo fu anche condannato, ma l'azione penale provocò l'ostracismo della comunità cittadina e la loro sfortuna.
Un atto di coraggio che costò tanto ad entrambi, fino alla separazione, consumata fra le mille difficoltà che li afflissero a seguito della vicenda legale di cui furono protagonisti. Un episodio importante, di costume e di politica, di etica e di fede, che a metà degli anni '50 divise l'opinione pubblica, ben oltre le mura della città, e che Maila Ermini ha trasformato in dramma teatrale mettendolo in scena ieri sera e oggi pomeriggio alla Baracca, a Casale.
Erano anni duri e importanti in cui l'occidente si allontanava dalla guerra, in cerca soprattutto di benessere economico e l'Italia viveva, non senza difficoltà, il dualismo fra cattolici e comunisti. Proprio nel '56, data della rivolta di Ungheria, dell'inizio della guerra arabo-israeliana, dei conflitti per il controllo del canale di Suez, inizia la storia difficile ed emblematica dei concubini di Prato.
Anche la Chiesa viveva grandi fermenti e forte era la spinta di contaminazione fra gli ideali di giustizia economica del socialismo e la cultura cattolica. Due anni dopo, Don Milani scriverà "Esperienze Pastorali", sconosciuto al grande pubblico ma devastante all'interno della Chiesa, autentico faro per le nuove generazioni di sacerdoti e veleno per le gerarchie più reazionarie. Ed è proprio a queste gerarchie che apparteneva il vescovo di Prato, già contemporaneo del cardinale Dalla Costa, illuminato vescovo, lui, della vicina diocesi fiorentina.
Quindi in qualche modo la storia di Mauro e Loriana appartiene a quel doloroso processo di cambiamento, culminato con il boom economico e con la figura di Giovanni XXIII, che ha visto nascere una nuova religiosità, dissenziente dalle gerarchie e di ispirazione sociale, che ha partorito oltre all'esperienza milaniana anche decine e decine di preti operai, decisi a stare dalla parte degli ultimi, senza se e senza ma, diremmo oggi.
Ancora una volta, Maila Ermini ha presentato un grande capitolo della sua commedia degli uomini. Un delicato sguardo sulle persone, sulla loro esperienza. Un occhio di riguardo sia per le vittime che per i carnefici, nel tentare di comprendere i percorsi del potere e del controllo sociale sulla coscienza individuale ma anche il coraggio della coerenza.
"Ah quanto costa avere delle idee, ma soprattutto, quanto costa metterle in pratica!": è questo il cuore del dramma che i due attori - un grande Gianfelice D'Accolti nelle parti di Mauro Bellandi e di Fiordelli- interpretano con maestria, non scadendo mai nella caricatura, anche laddove la storia appare incredibile ad ascoltarla sessanta anni dopo.
Perfetto il trattegio del personaggio femminile, che nella sua lontananza dalle ideologie, esprime un altruismo sobrio e naturale, anche di fronte alle grettezze dei suoi concittadini.
Di grande spessore il monologo del Vescovo Fiordelli dopo la condanna penale, scritto con una esattezza stilistica che non troviamo spesso a teatro e interpretato con grande misura dal D'Accolti.
Fa sorridere, oggi giorno, il fatto che il vecchio vescovo in questione abbia diretto i corsi prematrimoniali della curia pratese fino agli anni '90. Ma questo fa parte di un ritardo culturale che la nostra città soffre da molti anni e che è la causa principale degli odierni dolori.
per MV
fra' Dolcino

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