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La mer, la fin...

giovedì 26 febbraio 2009

Prato non deve chiudere. Come ti "ripenso" il sistema

Il titolare del Gruppo Filpucci perlomeno è sincero.
Il distretto si "ridisegna" seguendo un percorso che porta alla inevitabile riduzione della "forza lavoro" impiegata, passato sotto il nome di "razionalizzazione delle risorse". Quindi, meno lavoro per tutti...
MV

da la Nazione del 26/02/09
Gualtieri: «Protestare non basta»

Per il titolare della Filpucci «iniziativa giusta, ma va ripensato il sistema»
di ROBERTO DAVIDE PAPINI
PROTESTARE sì, ma anche cambiare rotta, ripensarsi, ridisegnare il sistema di imprese «perché altrimenti non se ne esce». Leandro Gualtieri, titolare del Gruppo Filpucci (uno dei principali gruppi tessili del distretto pratese) ma da anni anche da anni impegnato nel settore termale, sposa la manifestazione del 28 («giusto farsi sentire»), ma avverte che non sarà sufficiente protestare e che bisogna anche avere la capacità di ridisegnare strategie, come superare un certo individualismo per fare fronte alla crisi. «Bisogna capire che il peggio deve ancora arrivare», spiega Gualtieri che parte da un episodio che lo riguarda direttamente, il progetto di unire cinque tintorie del distretto per razionalizzare costi e quote di mercato. Un’idea che, a quanto sembra, non pare destinata a svilupparsi e che, secondo Gualtieri, rappresenta un po’ il paradigna di uno dei problemi del distretto tessile, l’incapacità di superare vecchi schemi.
Com’era articolato il progetto?
«Non era una vera e propria fusione, ma una razionalizzazione in realtà. Si trattava di riunire cinque tintorie (come la nostra Lux e poi Cometa, Alessandrini, Gori e la Tintoria Fiorentina) fare una società e lavorare insieme, decidendo quale delle cinque tintorie fosse conveniente chiudere».
Perché chiuderne una?
«Perché il lavoro è sempre meno e continuerà a essere sempre meno. L’utilizzo dei macchinari è basso, continuiamo a perdere soldi e a dividerci in troppi una torta per pochi. In questo caso, i soci sarebbero stati gli stessi, ma le unità produttive sarebbero state una di meno e questo avrebbe consentito alle altre quattro aziende di andare avanti meglio. Ho calcolato che questa operazione avrebbe portato a un utilizzo delle macchine al 90%, con utili per tutti».
La tintoria da chiudere quale sarebbe stata?
«Questo sarebbe stato da vedere, l’avremmo deciso insieme una volta fatta la società. E invece...
Invece?
«E invece non ho avuto risposte positive, in particolare da Cometa e da Alessandrini. Ho visto che la Cometa ha fatto un’operazione di ristrutturazione, quindi credo che voglia proseguire per la sua strada».
Non ci sono più margini, possibilità di portare avanti questo progetto?
Direi di no, purtroppo. Al punto in cui siamo mi pare che non se ne faccia di nulla».
Il suo gruppo aveva fatto una procedura di riduzione di personale alla Lux (dopo l’accorpamento di Filoverde all’interno della capofila Filpucci) che ha riguardato dieci persone e che era finalizzata anche a questa operazione. E ora?
«Si va avanti come prima, con una certezza».
Quale?
«Che ognuno di noi continuerà a perdere soldi».
Perché, secondo lei l’operazione non è andata in porto? Che cosa l’ha fatta arenare?
«Non so, bisognerebbe chiederlo agli altri. Di certo a Prato queste operazioni non si riescono a fare. E’ difficile, molto difficile».
Traspare tutta la sua delusione...
«Onestamente sì, sono deluso. Era un modo per evitare di rimettercio un sacco di soldi tutti, così invece continueremo a rimetterci».
Questa situazione sembra evidenziare un limite del distretto, proprio nel momenti in cui scende in piazza a chiedere a gran voce interventi contro la crisi...
«Protestare è sacrosanto, dobbiamo farci sentire, perché sennò gli aiuti vanno sempre ai soliti, dalla Fiat, agli elettrodomestici, settori che hanno una crisi meno grave di quella del tessile. Oltretutto il settore tessile rappresenta cinquecentomila addetti in tutta Italia. Però non si può soltanto protestare».
Cosa bisogna fare?
«Bisogna anche avere la capacità di ridisegnare il distretto, di fare scelte diverse partendo dalla constatazione di una crisi che diventerà sempre peggio e non possiamo affrontarla senza cambiare nulla».

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