TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

mercoledì 12 novembre 2008

Economia. la crisi a Prato

Al di là dei singoli casi, l'articolo apparso sul Tirreno che "racconta" come alcuni cittadini abbiano trovato rimedio agli effetti della crisi (che per inciso non ha dimensione solo pratese...) è interessante per altri aspetti che vanno ben oltre il caso umano.
Perché l'articolo ci racconta, a ben vedere, di un sistema produttivo che nei tempi d'oro (ma anche in tempi più recenti) ha dato tanto ai pratesi, in termini di retribuzioni, forse ben oltre il ragionevole. Il motivo è piuttosto semplice: arebbe bastato vedere - in altri contesti - cosa aveva comportato la crisi dei settori a basso valore aggiunto (quale appunto buona parte della filiera tessile), per cercare di trovare un equilibrio sostenibile da lavoratori ed imprese.
Invece, ha prevalso, in tutti, la logica dell'ottenere sempre di più, senza al fondo tener conto degli effetti sistemici: se ci passate la generalizzazione (che ovviamente non rende merito di una situazione più complessa), il contesto pratese ha visto gli imprenditori alla ricerca sempre di un maggior profitto, anche a scapito del territorio che gli ha comunque permesso di arricchirsi, e i lavoratori alla ricerca di un salario netto sempre più alto, molto più alto di quello in altri settori, anche a costo di accettare compromessi come gli straordinari "a nero" e vari fuoribusta, oltre ai premi e ai superminimi riconosciuti ufficialmente.
Oggi paghiamo, tutti, anche questo scotto...
MV

da il Tirreno del 12/11/08
«Senza i miei genitori non ce la farei»

Chi ha perso il lavoro si racconta: ecco perché non c’è emergenza sociale
Lui è disoccupato la moglie è in cigs un figlio e il mutuo da pagare. «E’ triste ma senza i miei non ce la faremmo»
PRATO. Un’emergenza sociale a Prato per adesso si dice non ci sia. O meglio. Si dice che, ancora, non c’è. E uno dei motivi per cui le famiglie riescono, anche se tra mille difficoltà, ad arrivare alla fine del mese è perché possono contare sull’aiuto dei genitori, ormai pensionati, e sul fatto che, in tanti, hanno una casa di proprietà. E quindi niente mutuo e niente affitto da togliere ogni mese dallo stipendio, o da quello che rimane del proprio salario. Almeno per molti tra coloro che in questi ultimi due anni sono stati licenziati e che si barcamenano tra mobilità, indennità di disoccupazione o cassa integrazione.
E poi c’è la convivenza con la paura di non riuscire a trovare un nuovo posto di lavoro. Una costante per molti pratesi.
E infine la vergogna per non essere più autosufficienti. Ed è questo imbarazzo a raccontarsi che non fa emergere all’esterno le difficoltà di tanta gente. Ed è questo il motivo per cui la maggior parte preferisce parlare in forma anonima.
La crisi? Comincia a essere anche “di coppia”. G. é un magazziniere con esperienza nella gestione e nella contabilità di magazzino. L’azienda per cui lavorava è fallita nel 2003. Da allora ha trovato sempre lavori a tempo determinato. Sposato e con un bimbo ora anche la moglie è in cassa integrazione. «Mi vergogno a dirlo - racconta - ma il bimbo è allo stesso tempo una gioia e una preoccupazione perché le spese sono di più. Abbiamo il mutuo e riusciamo ad andare avanti solo perché i miei genitori, pensionati, ci aiutano. E’ difficile accettarlo quando hai 43 anni ma l’alternativa sarebbe andare a rubare. E’ umiliante, ti senti un fallito perché sai di non poter dare stabilità alla tua famiglia». «La sensazione è che ci sia chi sfrutta questa situazione. Le aziende ti prendono per avere gli sgravi e poi ti mandano via. Per evitarlo servirebbero agevolazioni ma per chi fa contratti a tempo indeterminato».
Assunto e licenziato. In sei mesi. Paolo, 48 anni, è un perito tessile. Un giorno sei mesi fa è stato chiamato da un’azienda di tessuti. Ed è stato convinto ad andare a lavorare lì. Dopo sei mesi quell’azienda ha ridotto il personale e lui, in base alla legge, che prevede la mobilità a partire da chi ha meno anzianità aziendale è stato licenziato. La sua busta paga era di 1.500 euro al mese, del doppio quando Berta filava. Oggi con la mobilità non arriva a 1.000 euro. Sposato e con due figli si sente già vecchio per il mondo del lavoro. «Ho fatto colloqui ma tutti mi dicono “forse più avanti” e poi scelgono i più giovani: hanno meno esperienza ma costano meno».
Quando sei fuori è difficile rientrare nel mondo del lavoro. Dispositore di tessitura, 20 anni di esperienza e disoccupato. «Lavoravo per un lanificio con meno di 15 dipendenti. Sono andato in mobilità con l’indennità di disoccupazione, più di un anno fa, ma adesso non riscuoto più niente». «Non sono sposato - racconta - e un po’ mi dispiaceva non avere una mia famiglia. Oggi vivo ancora con i miei genitori e non potrei fare altro. E dirò che ne sono contento: almeno sono io e la giubba. Quando sei fuori dal mondo del lavoro da un po’ di tempo è difficile trovare un nuovo posto: sei fuori dal giro e sapere chi potrebbe essere interessato è quasi impossibile».
Ancora al lavoro ma non per molto. Impiegata, 39 anni, esperienza nel commerciale estero. Non è ancora in mobilità ma sa che lo sarà nel giro di pochi giorni. Dal momento in cui l’azienda per cui lavora, due mesi fa, ha annunciato una riduzione di personale si è messa a cercare un nuovo posto. «Quando sei ancora nell’ambiente - racconta - è più facile avere contatti. E comunque valutare le opportunità che ci sono».
Ragioniere e un curriculum ricchissimo. Paolo Lai, 48 anni, è in mobilità dal settembre 2007. Sposato con un’insegnante e padre di due figli è sempre più sfiduciato. «I primi tempi - racconta - pensavo che trovare un lavoro sarebbe stato molto più facile. Oggi invece mi sono reso conto che le prospettive non sono affatto buone. Sono perito tessile e anni fa presi anche il diploma di ragioniere pensando che nel caso il settore per cui lavoravo fosse andato in crisi avrei avuto una chance in più. Invece mi sono reso conto che fermo il tessile anche il resto va in crisi».
A fronte di difficoltà legate a uno stipendio che improvvisamente viene meno ce ne sono anche altre di carattere psicologico. «Non è facile per un uomo rimanere senza lavoro. Ti trovi ad avere un ruolo diverso in famiglia e anche davanti agli altri è imbarazzante».
Laureata e ragioniera. Se trovare lavoro dopo 40 anni è un’impresa non va molto meglio ai più giovani. Una laurea in Scienze della formazione in tasca e un diploma di ragioneria non ha, a 28 anni, mai trovato un lavoro che andasse oltre qualche mese. «E ora - dice - più passano gli anni, più è difficile. Mi trovo a non avere uno lavoro fisso e a essere costretta a rimanere in casa con i miei genitori. Vorrei sposarmi, comprare una casa. Ma come?».
Quei due anni per arrivare alla pensione. Ivano Michelotti ha 56 anni. Esperto ufficio estero, tre lingue straniere conosciute, è in mobilità da quando la sua azienda ha chiuso. «La mobilità - dice - mi scade nel 2010 ma io in pensione non posso andarci prima del 2012. E come li trovo i contributi?».
Non mi vogliono neppure a fare la spazzina. Rosa Sottosanti ha 37 anni e fino a qualche mese fa era una donna realizzata. Gestiva una stireria, che a marzo ha chiuso i battenti, e il suo lavoro le piaceva. Una busta da 1.100 euro al mese, anche 1.500 con gli straordinari. Ora è in mobilità e prende 700 euro. Il marito lavora ma hanno un mutuo da 770 euro al mese. «Andiamo avanti con l’aiuto dei miei genitori e stiamo attenti a tutto. Non ci hanno tolto il lavoro ma anche la dignità: sono andata a chiedere un lavoro all’Asmiu e mi sono sentita chiedere cosa volessi da loro. Noi italiani non ci prendono più in considerazione neppure per spazzare. E ogni giorno l’angoscia aumenta e i nostri politici non sembra neanche se ne accorgano».
Da 1.700 euro a 590.
Marco Brugagnoni, 43 anni, è un magazziniere tessile. «Sono in cassa integrazione - spiega - dal lanificio Vallombrosa. E prendo 590 euro al mese. Il mio salario era di 1.400 ma con gli straordinari arrivavo, alcuni mesi, fino a 1.700. Per fortuna abbiamo la casa di proprietà e nessuna spesa fissa sennò con la mobilità e lo stipendio di mia moglie sarebbe stato davvero un problema».
Ilenia Reali

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