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La mer, la fin...

lunedì 10 novembre 2008

Economia. Prato e la concorrenza sleale

Una denuncia seria, che ripropone il tema, a Prato del rapporto tra etica ed impresa - e del guadagno a tutti i costi...
MV

da il Tirreno del 09/11/08
Prato uccisa dalla concorrenza sleale
Allarme dell’imprenditore Macchioni: «Applichiamo la legge Biagi» Il presidente del Consorzio lavorazioni tessili chiede che si faccia rispondere al committente per i contributi e i salari non pagati dal terzista

PRATO. Sono passati quasi dieci anni. Eppure sembra non sia passato neppure un giorno. Il 9 aprile del 1999 il Consorzio lavorazioni tessili pubblicava una lettera a pagamento sui giornali. Un appello per non svendere un pezzo di Prato con un’inutile gara al ribasso dei prezzi. Qualcosa da allora però è cambiato: intanto il numero delle aziende costrette a chiudere i portoni - quel 60 aziende oggi fa quasi tenerezza - e poi l’esistenza di una legge, la Biagi, che all’articolo 29 riconosce una responsabilità in solido dei committenti per il pagamento dei salari e dei contributi dei dipendenti dei loro contoterzisti. Ed è proprio da questa legge, non applicata, che Lido Macchioni, titolare della Valfilo e presidente del Consorzio, consiglia di ripartire. Per dare una scossa.
L’imprenditore Macchioni ritiene che per infliggere un duro colpo alla concorrenza sleale interna non servirebbe poi moltissimo. «Nessuno in quattro anni - spiega l’imprenditore - si è preso la briga di muovere un dito per applicare quella legge. Non sono stati fatti decreti attuativi e quindi, di conseguenza, non sono arrivati neppure i controlli. Eppure sarebbe sufficiente costringere un committente a farsi carico di salari e contributi dei dipendenti dell’azienda contoterzista non pagati per dare una smossa. Gli altri prima di chiedere ribassi, consapevoli di indurre il terzista a non essere in ordine con i pagamenti, ci penserebbero una volta in più».
E sarebbe nell’interesse di tutti. Perché la concorrenza interna al distretto falcidia le aziende terziste ma costringe a una guerra dei prezzi anche gli stessi committenti con i loro clienti.
Per sapere qual è il prezzo equo di una lavorazione del resto basta poco. E’ sufficiente ricercare l’elenco dei costi ineludibile che la Camera di commercio stilò qualche anno fa. Sotto quella soglia non si può scendere, se si rispettano tutte le regole e si è un’azienda virtuosa. «Un’azienda che sta alle regole - aggiunge Macchioni - se ha costi di produzione a 100. Può lavorare a 98 ma solo per un periodo ma se lavora ad 80 è certo che sfugge a qualche obbligo. E a Prato, per dare un’indicazione di massima il 10% delle aziende terziste lavora sottocosto. C’è chi lo fa sistematicamente, chi invece lo fa solo con uno dei suoi committenti per arrivare al livello di produzione necessario per girare».
I metodi per fare concorrenza sleale e quindi portare alla chiusura quell’aziende che le regole le rispettano sono diversi, talvolta ovvi, talvolta no. «Ci sono aziende che non pagano i contributi. Altre l’affitto perché tanto il proprietario del capannone non ce la farà a sfrattarle prima di tantissimi anni. Altre ancora che hanno due operai regolari e tre che lavorano a nero». E non solo. «C’è chi denuncia di far lavorare i dipendenti 4 ore e invece sono 10 ma anche chi non paga i macchinari perché poi andranno all’asta e potrà ricomprarli (tanto non c’è la fila di acquirenti) a costi notevolmente inferiori. Ma anche chi chiede ore di cassa integrazione facendo lavorare ugualmente i dipendenti e pagando loro la differenza tra quanto versa l’Inps e il normale stipendio fuori busta. Se a un committente gli fai risparmiare sul prezzo della lavorazione c’è da star certi che il modo per pagarti a nero lo trova».
Un atteggiamento non nuovo per Prato ma che oggi, con la crisi causata anche da fattori esterni, rischia di distruggere la filiera senza possibilità di appello. E allora che qualcosa si muova. Altri 10 anni a disposizione del resto non ci sono: le imprese socie del Consorzio lavorazioni tessili nel 1998 erano 180, oggi sono rimaste in 30.
Ilenia Reali
OGGI, NOVE ANNI FA Ecco il testo della lettera pubblicata il 9 aprile del 1999. Caro filatore, caro committente, questo vuole essere un caldo invito a fare una riflessione, insieme. Se è vero che a causa di una cieca rincorsa al ribasso dei prezzi di lavorazione, a Prato hanno chiuso 60 aziende di filatura negli ultimi 4 anni, se è vero che per la stessa logica del ribasso, un articolo di cardato, il velour, è stato via via impoverito, svilito e svenduto, tanto da anticiparne il declino, ed in modo anche inglorioso, allora è anche vero che tutti insieme, filatori e committenti, stiamo distruggendo quello che più ci rappresenta nel mondo, il cardato, disperdendo un patrimonio di conoscenza, esperienza e capacità che non ha uguali altrove, senza apparente rammarico. E’ addirittura sorprendente poi, non rendersi conto che negli articoli di cardato la concorrenza ad un pratese sia opera principalmente di un altro pratese, permettendo così di far godere ad altri, nel mondo, dei sacrifici sofferti da tanti operatori dell’area. Nel 1992 una società di Milano, la Gramma Operation, aveva indicato in 897 lire al numero il prezzo minimo di lavorazione di filatura, i listini attuali, pur inferiori, vengono molto spesso disattesi, con le conseguenze ben note. Ma allora a chi giova tutto questo? Quindi, caro filatore e caro committente, fermiamoci, un attimo a riflettere: questi comportamenti non ci stanno portando insieme “fuori strada” e non ci stanno portando insieme a svendere un pezzo della “nostra Prato” con ogni metro di cardato, per perdere alla fine anche la nostra identità, la nostra cultura, la nostra storia? Consorzio lavorazioni tessili Prato

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