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La mer, la fin...

giovedì 26 febbraio 2009

Prato non deve chiudere. Strategie e cultura

Che manchi una strategia comune per "uscire" dalla crisi, noi lo andiamo dicendo da tempo.
Certo, l'intervista al direttore del Museo del tessuto - che la giornalista definisce il "più frequentato della città", e a ragione, visto che il Pecci dichiara poco più di settemila biglietti staccati - dovrebbe far riflettere molto sullo stato di abbandono delle politiche culturali a Prato: perché si sta parlando, considerando i due mesi di chiusura per lavori, di circa 44 visitatori al giorno.
Molto probabilmente ci sono musei della civiltà contadina di qualche località sperduta nella Toscana che hanno più afflusso. Visto poi il costo del biglietto (sei euro), il museo avrebbe incassato circa 78000 euro...
Vogliamo ragionarci un po' sopra?
MV


da la Nazione del 26/02/09
‘Manca strategia comune Per ora si mostra paura’
Cultura & industria: parla il direttore del Museo del Tessuto di ELENA DURANTI
«BEN VENGANO le iniziative corali, ma in generale non vedo una grande progettualità nel distretto». A Filippo Guarini, direttore del Museo del Tessuto, il più frequentato della città con 13mila visitatori nel 2008, la manifestazione di sabato prossimo «Prato non deve chiudere» piace, il suo nome un po’ meno.
Il distretto sabato accenderà i riflettori della protesta, la condivide?
«Credo sia una giusta iniziativa di denuncia indirizzata al Governo per richiamare l’attenzione sul tessile, considerando il fatto che sono stati dati aiuti, per esempio, al settore automobilistico e non al manifatturiero che invece è il vero ‘motore’ dell’industria italiana».
Può bastare?
«No, il problema è che non c’è progettualità nel gestire il cambiamento, sicuramente profondo in atto, o la riconversione del distretto, non vedo un tavolo condiviso ma vedo tanta paura. Prato non è stata in grado di sviluppare, se non soluzioni, almeno una strategia».
Quella museale è una strategia?
«Certo, anche la cultura dovrebbe fare la sua parte in questa situazione, però mancano interventi di collaborazione tra i vari enti preposti alla promozione culturale e turistica, non lavorano in una logica di sistema. L’ultima idea nata qui al Museo del Tessuto ribalta di fatto questa tendenza».
Come?
«Abbiamo lanciato un concorso per giovani stilisti che ha avuto visibilità europea e che favorisce il distretto in modo concreto come luogo d’eccellenza del made in Italy e dell’approvvigionamento di tessuti di qualità. L’iniziativa è stata fatta in rete, con Cariprato e l’azienda Patrizia Pepe. Si tratta di una piccola iniziativa di sistema a cui abbiamo lavorato per un anno intero».
E’ questa secondo lei la ‘direzione’?
«Si dovrebbe puntare sul valore aggiunto del distretto innovativo in un’ottica di lungo periodo, innescando e consolidando l’industria creativa e in questo la cultura può giocare un ruolo importante».
Il tempo futuro del Museo?
«Nel 2009 ci sarà il grande evento voluto dalla Provincia ‘Il Tessile alla corte degli Zar’, poi a stiamo lavorando su due progetti europei per trasformare il museo in un luogo d’ispirazione per le industrie del distretto, una ‘biblioteca’ per la consultazione del patrimonio rappresentato dagli archivi d’azienda».
Ma il fattore crisi non ha inciso sull’ex Campolmi?
«Nel 2008, nonostante la chiusura di due mesi per lavori c’è stata una crescita di visitatori del 3%, ma in questi primi mesi 2009 abbiamo registrato un calo consistente da valutare ovviamente a fine anno. Per ciò penso che ‘Prato non deve chiudere’ non sia il giusto messaggio sulla lunga scadenza, è il bicchiere mezzo vuoto, non è messaggio di forza ma di paura».

4 commenti:

Anonimo ha detto...

..manca una "strategia comune" per uscire dalla crisi.... quali sonole proposte di Municipio Verde in merito?

Unknown ha detto...

A parte il fatto che non lo diciamo solamente noi, le nostre "proposte", ma sarebbe meglio chiamarli "spunti di discussione" sono diffusi negli oltre 3000 post creati dal novembre del 2007 ad oggi.
Comunque, potremmo iniziare da una proposta di "metodo": uscire dal "tunnel" del tessile, che da ricchezza della città si sta trasformando nella sua condanna a morte.
Poi, giusto per fare qualche esempio, conversione di quella parte della filiera che a malapena stenta a sopravvivere in un nuovo "distretto" orientato al recupero, riciclo e riutilizzo dei "rifiuti". Ri-creazione di un circuito economico-produttivo su scala locale, dall'agricoltura ai servizi, connesso ad un parallelo circuito di "moneta locale" (stile SCEC) svincolato dall'attività creditizia classica. Costruire un tessuto sociale e culturale più vivace, in grado non solo di "attrarre" risorse, ma di "crearle" in proprio e redistribuirle alla città.
Sono solo spunti... E a chi obietta che sono "utopie", potremmo ribattere tranquillamente che non lo sono di più di quelle che da almeno dieci anni sentiamo riproporre ad ogni pié sospinto...

Anonimo ha detto...

moneta locale stile SCEC???!Non risultano ad oggi operazioni su SCEC applicate in ambito produttivo industriale...e...francamente....anche con le ottime intenzioni e potenzialità del concetto di SCEC non ritengo che tale tipo di sistema di ricircolo economico sia applicabile al di fuori della microimpresa e della piccola impresa....comunque, come spunto, può essere interessante, ed andrebbe sicuramente sviluppato...ma non credo che possa essere un'arma per risolvere la crisi dell'industria tessile a Prato.

Unknown ha detto...

Come già detto, qui non vogliamo "risolvere" la crisi del tessile a Prato. Quella del tessile è una crisi legata a processi che vengono da lontano e che negli ultimi tempi si sono "solo" acuiti, nella fase di recessione mondiale. Di certo, alla fine di questo ciclo negativo, il nuovo profilo dell'industria tessile non potrà mai essere quello conosciuto in questi anni. La ristrutturazione che ne seguirà porterà inevitabilmente alla perdita di altri posti di lavoro, che non hanno possibilità di essere rimpiazzati nel breve e medio periodo - anche solo per il fatto che tutti i settori, oggi, sono in crisi - e questo vuol dire un numero di disoccupati/sottoccupati su una fascia di età medioalta (dai 40 in su) magari professionalizzatisimi nel tessile, ma senza alcuno strumento "spendibile" in altri settori, se non le proprie braccia.
Capito questo, possiamo passare oltre, o meglio, dobbiamo!
Quindi, ecco perché ricostruire un tessuto produttivo legato ai bisogni della città, che magari richieda nuovamente "forza lavoro" non qualificata da "riformare", ed inserito in un circuito economico diverso da quello attuale (applicazione della "filosofia" dello SCEC su larga scala). Il sistema della moneta locale potrebbe comunque essere applicato - nell'ottica di una assunzione collettiva di responsabilità e solidarietà - già nel breve periodo: serve però la volontà e la partecipazione dell'intera comunità.