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La mer, la fin...

mercoledì 11 febbraio 2009

Riflessioni. Ritorno al territorio

Riportiamo l'intervento che Carlin Petrini, Slow Food, ha inviato all'Assemblea dell'Associazione Rete del Nuovo Municipio che si terrà a Bergamo i prossimi 13 e 14 febbraio.
MV

Dopo la globalizzazione: il ritorno al territorio
Intervento di Carlin Petrini

Cari congressisti, sono molto dispiaciuto di non poter far parte del vostro consesso, ma da tempo avevo programmato di essere a Berlino per l’anteprima mondiale del film che Ermanno Olmi ha dedicato a uno dei progetti in cui più credo: Terra Madre.
Mi dispiace non essere presente tanto più perché sono convinto che il futuro passerà per le economie locali, e che queste si potranno configurare come i sistemi ideali per garantire una transizione sostenibile verso nuovi modelli produttivi più adatti al post-modernismo e ai problemi enormi che il mondo si trova oggi ad affrontare. Questa convinzione è stata rafforzata enormemente proprio dall’incontro con i personaggi convenuti a Terra Madre 2008, la terza edizione del meeting mondiale delle comunità del cibo che Slow Food organizza ogni due anni a Torino (l’oggetto del nuovo film di Olmi che mi impedisce di essere con voi). Queste persone, a Torino nell’ottobre 2008, erano circa 7.000, in rappresentanza di più di 1.600 comunità agricole provenienti da 153 paesi del mondo.

Lasciatemi dire, come ho detto a loro in occasione del meeting, che essi - i contadini, i pescatori, i nomadi, gli artigiani tradizionali, le popolazioni indie, i cuochi e le cuoche, i rappresentanti delle università sensibili ai saperi tradizionali e, nell’ultima edizione, i musicisti contadini e anche un numero sorprendente di giovani - rappresentano l’umanità che farà la terza rivoluzione industriale, che sarà la vera protagonista di un nuovo modello economico.
Chi lavora con la natura lavora con il sole, e sa trasformare la sua energia in cibo: un contadino è un maestro di produzione sostenibile, sfrutta risorse alternative e rinnovabili, sa esattamente come reagire in questi tempi di crisi economica ed ecologica. La terza rivoluzione industriale saprà produrre in maniera corretta, senza dover ricorrere ad energie provenienti da carburanti fossili e sarà armoniosa con la natura. L’umanità di Terra Madre da questo punto di vista non deve inventarsi niente, queste cose le fa già e la fa da tempo, le facevano anche i loro antenati.

Molti guardano a queste persone come protagonisti di un’economia marginale, protagonisti di processi produttivi secondari rispetto a quelli che muovono l’economia di mercato globale. Ma abbiamo visto quanti suoi limiti l’economia mondiale ha palesato. Non soltanto è insostenibile per via dei suoi processi produttivi che non tengono in minima considerazione la salvaguardia dell’ambiente; non soltanto tende a un’omologazione culturale che appiattisce ogni diversità, ogni forma di creatività; non soltanto peggiora la qualità del nostro cibo e delle nostre vite: si è dimostrata fallace anche dal punto di vista economico-finanziario, gettandoci in una crisi senza precedenti, che cambierà il corso della storia.
Le persone di Terra Madre (ricordiamo che almeno metà della popolazione mondiale vive in zone rurali ed è dedita all’agricoltura) invece praticano un’economia locale, che a mio modo di vedere è la chiave di volta per affrontare le sfide che il mondo ci pone di fronte. Economia locale non significa economia di basso profilo, anzi: è l’economia della natura, che ha molte ricadute positive ed è in grado di maneggiare la complessità dell’esistente senza doverla ridurre a qualcosa di lineare. In un’economia locale c’è grande rispetto per il territorio in cui si vive, il contesto è fondamentale. In questo modo la biodiversità diventa una risorsa fondamentale, e con la biodiversità si rispettano le attività produttive tradizionali che consentono vivacità culturale e preservazione del paesaggio. Le risorse energetiche, non centralizzate e dunque sfruttate a livello locale, in rete, possono essere ottimizzate e sono le più varie a seconda di quanto il territorio può offrire. Le società contadine sono maestre nel non sprecare, nel riciclare, nel riutilizzare. La nostra società capitalistica ha fatto dello spreco una condizione esistenziale, cosicché per esempio gettiamo ogni giorno nei cassonetti troppo cibo edibile (in Italia 4.000 tonnellate al giorno!): è una cosa che grida vendetta.

Ambiente, cibo, cultura e diversità sono garantite dalle economie locali, e questo non significa tornare a vivere nel passato o immolarsi in modelli produttivi autarchici. Non significa chiusura: le comunità di Terra Madre fanno economia locale ma sono in rete tra loro, applicano lo scambio (attraverso il quale si definisce anche l’identità, che non è una cosa fissa ma in continua evoluzione) e cercano vie sostenibili per applicare le nuove tecnologie. Credo che l’industria abbia molto da imparare dalle comunità contadine, dal loro stile di vita, dalle loro prerogative.

Abbiamo molto da imparare da loro, e sarà nostro compito dar loro tutto l’aiuto e il supporto che necessitano: non per indicar loro una “via allo sviluppo”, ma per far sì che i loro stili di vita, i loro saperi e le loro esperienze possano essere d’ispirazione per noi, prima che siano definitivamente travolte dall’omologazione.

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