TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!
La mer, la fin...
sabato 7 febbraio 2009
Autostrada Tirrenica: la spaccamaremma.
FURIO COLOMBO
Caro direttore,
sul “Tirreno” (30 gennaio, intervista di Gianpiero Calapà) leggo il proclama che Andrea Manciulli lancia a sostegno senza se e senza ma dell’autostrada Spaccamaremma. Dice Manciulli: «È finito il tempo delle discussioni sulla Tirrenica, adesso bisogna farla. Stiamo vivendo una crisi molto preoccupante e la nostra costa ha due città, due porti come Livorno e Piombino, emblemi di questa crisi». Colpisce la mancanza di riferimento ai fatti, in questa frase, che si può riassumere così: non vi è alcuna comprensibile relazione fra la crisi e la Spaccamaremma. O, se vi è una relazione, è rovesciata, rispetto alla dichiarazione di Manciulli. Perché?
Perché la crisi impedirà di trovare risorse private per una spesa immensa che si ripagherebbe solo con un traffico immenso, che in una regione come la Toscana stroncherebbe il turismo. Perché i cantieri di un’immensa pista autostradale che divide in due il paesaggio toscano unico al mondo dureranno molto di più della crisi. Perché? Perché i due porti (è un fatto noto a tutti, prima che si formasse l’alleanza di ferro con Matteoli) hanno bisogno di strade est-ovest, la famosa e inesistente Due Mari, non del collegamento nord-sud che, se mai, non serve alla Toscana ma beneficia, a spese della Toscana, altre regioni a sud e a nord. Manciulli torna con decisionismo impetuoso alla cultura anni ’50 della Ricostruzione. Esige massiccio e immenso trasporto su gomma, con incalcolabile inquinamento ambientale: a pochi metri da una linea ferroviaria che chiede solo di essere rafforzata a costi incredibilmente minori e così lasciando intatto l’ambiente e l’immenso valore economico del paesaggio. Come ci insegna l’America, la cultura del distruggere e inquinare è conservatrice, e infatti l’America ha dato il benservito a Bush che rifiutava la lotta all’inquinamento e voleva spaccare e trivellare ovunque. E il dovere del prendere cura dell’ambiente in cui viviamo è democratico, come dimostra il vasto sostegno popolare all’elezione di Obama e al suo programma di fine delle devastazioni. Dunque Matteoli (oltre che ministro autore della Spaccamaremma, anche sindaco di Orbetello, tenuta lontana e al sicuro dai cantieri) è al posto giusto: governare col cemento.
Ma Manciulli? Il problema che l’intervista al “Tirreno” solleva è proprio qui. Manciulli è segretario regionale del Pd. Può dirmi Manciulli quando il Pd ha abbracciato con fervore (e con dura severità verso le ragionevoli obiezioni di Petruccioli e Caracciolo) la politica dura e pura - qui si fa così e basta - che Matteoli ha ereditato da Lunardi? Da quando, non solo nel Pd, ma nella cultura democratica di un Paese retto da una Costituzione non ancora devastata, è «finito il tempo delle discussioni», solo perché quel termine è stato deciso da Manciulli? Apprezzo la stima che Manciulli mi esprime, e personalmente lo ricambio. Ma non trovo rapporto fra modernità e cemento. O fra distruzione del paesaggio e «il lancio verso lo sviluppo, altrimenti qui tutto muore». L’idea che lo sviluppo sia cemento è stata condannata ormai in tutto il mondo, non solo da romantici ambientalisti, da nostalgici “villeggianti”. Ma soprattutto da economisti, urbanisti, architetti, pianificatori. Ho potuto dire e ripeto: oggi nessuno, in nessun Paese, getterebbe una colata (trenta metri di ampiezza) di cemento e asfalto per spaccare il rapporto unico di contiguità e continuità fra campagna e mare. Suggerisco amichevolmente ai crociati dell’asfalto, delle colonne di Tir (che ovviamente si moltiplicano di dieci volte, se insistete a chiamarli), degli scarichi inquinanti, di andare a vedere il film “Home”, efficace rappresentazione del cinema francese dell’idea folle di trovarsi a vivere in una casa accanto a una nuova autostrada che taglia l’accesso al mare. Sarà un mini-corso molto utile sul senso delle parole “sviluppo e modernità”.
Mi sbaglio, ma credo di poter dire da deputato del Pd che ha preso parte alle primarie, eletto con un po’ di voti, in tutta la Toscana, che queste due parole - “sviluppo e modernità” - significano proteggere l’ambiente, non spaccarlo, dare la precedenza a ciò che è facile e naturale. Non al cemento. E stare alla larga dei misteriosi “project financing” che erano (e sono) il cavallo di battaglia di altra gente: in altri ambienti, in un’altra cultura, in un diverso e avverso schieramento politico.
Furio Colombo
(il Tirreno 6.2.'09)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento