Partita doppia
di Marco Damilano
La legge per le europee cara a Veltroni. L'accordo sulla Rai. Poi le nuove regole parlamentari agognate da Berlusconi. L'asse bipartisan Silvio-Walter
Presenti 517, astenuti uno, hanno votato sì 25, hanno votato no 492, la Camera respinge... Montecitorio, pomeriggio di martedì 3 febbraio, fuori dal portone sotto il diluvio si disperdono gli ultimi, sparuti rappresentanti dei partiti della sinistra radicale, i grandi esclusi dalla riforma della legge elettorale europea che introduce la soglia di sbarramento del 4 per cento per entrare nel Parlamento di Strasburgo.
Dentro, nell'aula della Camera, si procede a colpi di emendamenti approvati o respinti con il 95 per cento e oltre dei presenti, quasi all'unanimità. Con Pdl, Pd, Lega, Udc e Italia dei Valori, tutti i gruppi rappresentati in Parlamento che, miracolo, votano insieme appassionatamente. Un Veltrusconi allargato a Pier Ferdinando Casini, Umberto Bossi e perfino Antonio Di Pietro. A fare la parte della minoranza rimangono solo i radicali, come ai tempi dei governi di unità nazionale negli anni Settanta presieduti da Giulio Andreotti con l'appoggio del Pci, e i siciliani dell'Mpa di Raffaele Lombardo. La scena si ripete il giorno dopo a palazzo San Macuto: la commissione di vigilanza Rai teatro del tormentone Villari, il senatore campano ex Pd rimasto incollato alla poltrona della presidenza per oltre due mesi, elegge a sua guida Sergio Zavoli con i voti di tutti i presenti. In attesa di scegliere il nuovo consiglio di amministrazione Rai: anche in questo caso tutti insieme. O quasi.
È la grande novità di questa stagione politica. Voti bipartisan. Maggioranze schiaccianti. Parlamento unanime. Nessuna distinzione tra maggioranza e opposizione. Larghe, larghissime intese. Molto di più di un inciucio: un inciucio al quadrato, al cubo. Una Grande Coalizione non dichiarata, ma che sempre di più prende forma. Sulla legge elettorale europea. Sulla Rai e sugli uomini che comanderanno viale Mazzini. Ma non solo: nelle ultime settimane maggioranza e opposizione, gli uomini di Silvio Berlusconi e quelli di Walter Veltroni, hanno votato insieme sugli argomenti più disparati. Sulla ratifica del trattato di amicizia Italia-Libia, per esempio: il 21 gennaio la Camera l'ha approvato con 413 voti a favore, 63 contrari e 36 astenuti, con due soli voti contrari nel Pd, Furio Colombo e il giovane Andrea Sarubbi. Il giorno dopo arriva al Senato il ben più importante disegno di legge sul federalismo. Risultato:156 sì, 108 astenuti (i senatori del Pd), solo sei eroici dissidenti votano contro. Un'azione quasi démodé, ormai, nell'aula di palazzo Madama dove appena pochi mesi fa, all'epoca del governo Prodi, a ogni passaggio si andava al muro contro muro e si contavano i voti uno a uno.
La mania bipartisan gioca brutti scherzi: come quello di trascinare una parte dei deputati del Pd a dire no, astenersi o non partecipare al voto sulla mozione presentata dal presidente del loro stesso gruppo parlamentare Antonello Soro per costringere il governo a far dimettere il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino, accusato da sei pentiti di essere un fiancheggiatore del clan dei Casalesi, come ha scritto 'L'espresso'. Mozione respinta, con numerose astensioni e assenze determinanti tra i banchi del Pd e Idv che si vanno ad aggiungere ai colleghi del Pdl. Forse per ricambiare il voto con cui l'aula di Montecitorio ha respinto la richiesta d'arresto del deputato democratico Salvatore Margiotta: in quel caso è toccato al Pdl salvare l'esponente del Pd, con 430 no alle richieste dei magistrati, 21 contrari (i dipietristi) e tre astensioni. Una convergenza che fa ben sperare gli uomini della maggioranza berlusconiana incaricati di trattare con il Pd i dossier caldi sulla giustizia in arrivo: la legge sulle intercettazioni in calendario alla Camera, la riforma costituzionale con la separazione delle carriere e la riforma del Csm voluta dal Cavaliere.
A suggellare l'intesa maggioranza-opposizione, intanto, c'è la riforma dei regolamenti parlamentari in discussione al Senato. Raccontano che sia questa la vera merce di scambio tra Berlusconi e Veltroni. Il premier ha dato il via libera alla riforma della legge elettorale europea, con lo sbarramento del 4 per cento che Veltroni riteneva essenziale per fermare la concorrenza dei partitini di sinistra che avrebbero tolto voti al Pd. E il segretario dei Democratici ha acceso disco verde per la riscrittura delle regole del gioco parlamentare. Una riforma che il centrodestra considera decisiva, dato che nei nuovi regolamenti saranno contingentati i tempi per approvare i disegni di legge di iniziativa governativa: 60 giorni, come previsto dalla Costituzione per i decreti d'urgenza. Sessanta giorni, due mesi, per far approvare al Parlamento i provvedimenti che stanno più a cuore al premier. Più che una corsia preferenziale, una autostrada: quello che nessun presidente del Consiglio ha mai avuto, forse neppure sognato.
E poi, naturalmente, c'è la Rai. Terreno privilegiato di ogni intesa, grande o piccola che sia. Con la legge Gasparri che rende necessario il 'concorso' (leggi: spartizione) tra maggioranza e opposizione per eleggere il nuovo consiglio di amministrazione di viale Mazzini. L'elezione di Zavoli alla presidenza della commissione di Vigilanza è solo il primo passo, la settimana prossima arriveranno in tavola i bocconi più appetitosi: il presidente della Rai, il direttore generale e a seguire le poltrone di Saxa Rubra, la direzione del Tg1, il Tg2, il Tg3... Un menù di nomine da leccarsi i baffi, specie alla vigilia di elezioni europee e amministrative, che sta stressando all'inverosimile i palazzi del potere. Martedì 3 febbraio, per esempio, al primo piano di Montecitorio era possibile assistere a una istruttiva scenetta. In un corridoio, quello della sala della Regina, i deputati del Pd si erano riuniti con Veltroni per decidere il da farsi sulla legge elettorale europea. Nel corridoio opposto, quello che porta agli uffici del presidente della Camera Gianfranco Fini, è stato avvistato il direttore del Tg1 Gianni Riotta, in visita pastorale. Per ora è uscito dal toto-nomine, ma chissà. Tutto può essere: anche perché, fuori i secondi, nel Pd Goffredo Bettini è stato esautorato, la partita Rai è tornata nelle mani di chi è di casa in viale Mazzini.
Da un lato, Walter Veltroni, che di televisione pubblica si è nutrito fin da neonato, per ragioni familiari (il papà è stato il primo direttore del Telegiornale, la mamma una storica funzionaria Rai) e che nell'87 firmò il patto con Dc e Psi con cui il Pci conquistava per la prima volta la direzione di RaiTre e Tg3. Dall'altro, Gianni Letta, un altro che considera la Rai come il salotto di casa. A trattare sui nuovi nomi Rai saranno loro, il segretario del Pd e il sottosegretario di Berlusconi. E potrebbe finire con una sorpresa: la conferma di Claudio Petruccioli, ben visto anche da Berlusconi, e degli attuali vertici, compreso il direttore generale Claudio Cappon, uomo del centrosinistra ma vicino anche a Gianni Letta, frequentano la stessa parrocchia, Santa Chiara in piazza dei Giochi Delfici.
Personaggi miti, ecumenici. Uomini dell'armonia, perfettamente in linea con lo spirito dei tempi che impongono collaborazione. Per il bene del Paese. Per sopravvivere ai rovesci politici. Per non morire all'opposizione, parolaccia fuori corso nella stagione dell'unanimità.
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