Ancora qualche notizia sul tonfo di Ittierre e suisuoi disastrosi effetti per il lavoro a Prato, questa volta da La Repubblica.
Sono fornitrici del grande gruppo. Confindustria: "È un´emergenza"
di Ilaria Ciuti
I colossi della moda tremano. Anche il lusso, finora allegramente classificato al riparo della tempesta, vacilla. E le difficoltà dei grandi si scaricano sui piccoli. I marchi che fanno fare i loro prodotti, specie pellame e calzature, o richiedono i tessuti tra Prato, Firenze, il Valdarno, l´Empolese-Valdelsa, contraggono la produzione e rischiano di lasciare a terra una lunga filiera di terzisti, i detentori del tanto decantato know how toscano. Il primo grido di allarme arriva soprattutto da Prato. Lo rinfocola l´andata in amministrazione controllata da lunedì scorso del grande gruppo Ittierre, produttore di Ferrè, Malo e Exté. E´ Riccardo Marini, presidente dell´Unione industriali pratese che avverte del pericolo: «Qui a Prato sono almeno 60 i principali fornitori di tessuti e filati di Ittierre. Ora rischiano di perdere un cliente di tale importanza e avranno difficoltà con il credito». E dai 60, giù a valanga fino ai più piccoli cui a loro volta i medi danno da lavorare.Secondo Marini «l´intera filiera pratese è a rischio» e invoca per Prato l´intervento del governo e della Regione. Al governo chiede quel rinnovo della cassa integrazione in deroga che ha promesso ma poi di fatto non ha assegnato e per cui da marzo terminerà qualsiasi ammortizzatore, lasciando i lavoratori coinvolti nelle crisi senza un soldo in tasca. Il grido di Marini è di chi sta per affogare: «Siamo in una situazione di emergenza, sono necessarie misure emergenziali», dice ricordando che dal 2000 al 2008 Prato ha perso 1.867 aziende e 8.841 lavoratori e che nel 2008 i lavoratori licenziati sono stati 1.129, mentre altri 607 sono stati messi in normale casa integrazione, 3.517 in deroga e 1.931 in mobilità.A Prato è in crisi anche la moda. Chiude per esempio Sonia Fortuna, il marchio di moda giovane e di tendenza che sembrava nei recenti anni scorsi avere spiccato il volo tanto da aprire un negozio in via della Vigna, una boutique e uno show room a Milano e passare dal piccolo laboratorio di Firenze al grande stabilimento di Prato. Ora però ha messo in mobilità tutti i 54 dipendenti, quanti sono rimasti dopo che da settembre non hanno più ricevuto lo stipendio. Gli investimenti sono stati troppo faraonici rispetto al reale peso del marchio né, avanzando la crisi, si è trovato un partner con liquidità disponibile. E si chiude.
Ma, per tornare alle difficoltà dei grandi marchi, la ripercussione si sente anche in provincia di Firenze. A cominciare da uno dei tre prodotti da Ittierre, il cachemire di Malo che già aveva 37 dipendenti in cassa integrazione dei 95 che adesso non sanno quale sarà il loro futuro. Per restare alla moda, all´Osmannoro, dei 229 che lavorano alla Calvin Klein, 45 sono in cassa integrazione e 30 che erano a tempo determinato sono ormai fuori. Mentre al gruppo Apollo che ha sede tra Firenze e Prato e con 100 dipendenti fa interni per auto, 47 sono in cassa integrazione straordinaria a Firenze e 30 a Prato. Quanto ai terzisti per le grandi firme che, tra Scandicci, il Valdarno, l´empolese e Firenze, lavorano per Gucci, Prada, Celine, Feragamo, Dolce&Gabbana, sono tutti in difficoltà. Nessun lavoratore atipico è stato confermato e la filiera comincia sgretolarsi dal basso. Alcune piccole e piccolissime aziende artigiane hanno già chiuso, le case madri hanno meno ordini e tagliano il lavoro dato fuori. Per la prima volta nella sua storia Gucci non ha confermato i lavoratori a termine. «Non abbiamo ancora cifre precise, ma sono terrorizzata - confessa la segretaria fiorentina dei tessili e pellettieri Cgil, Cristina Settimelli - Perché, senza ammortizzatori, molti rischiano la vera povertà e perché alla fine si rischiano dei perdere professionalità che finora hanno spinto le multinazionali a rimanere sul territorio». Gli unici numeri che per ora il sindacato ha in mano sono quelli degli ammortizzatori, li stanno usando il 30% dei lavoratori delle calzature, il 21% dei pellettieri, il 26% dell´abbigliamento e confezioni. Il peggio però è chi non ha ammortizzatori e di cui poco si sa.
(11 febbraio 2009)
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