TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

giovedì 12 febbraio 2009

Giustizia. Il Procuratore Generale Deidda.

Massimo rispetto.
MV
Deidda, nuovo Pg di Firenze
«Su Eluana, vi prego, silenzio»
«Le sentenze non ammazzano nessuno. Credo che vadano lette, criticate, ma rispettate». «Questa vicenda - ha aggiunto - mi ha lasciato il desiderio di silenzio, si è fatto troppo chiasso»
«Sulla vicenda di Eluana Englaro dal punto di vista umano non ho niente da dire e le mie sensazioni le tengo per me. Contava invece il punto di vista giuridico e su questo dico che le sentenze si rispettano. Abbiamo dimostrato che si possono far rispettare». Così l’ex procuratore generale di Trieste, da oggi pg a Firenze, Beniamino Deidda, ha commentato la vicenda di Eluana parlando con i giornalisti nel capoluogo toscano. Fino a ieri si è occupato, insieme alla procura di Udine, del caso di Eluana.
«NESSUNO MUORE DI SENTENZE» - Deidda ha detto di «non condividere certi linguaggi tipo il dire è morta di sentenza. Le sentenze non ammazzano nessuno. Credo che vadano lette, criticate, ma rispettate». «Questa vicenda - ha aggiunto - mi ha lasciato il desiderio di silenzio, si è fatto troppo chiasso, anche in maniera inopportuna. Bisogna cominciare a rispettare i sentimenti». Quanto agli esposti sulla morte di Eluana, alcuni dei quali già definiti dallo stesso Deidda «farneticanti», «essi sono all’esame degli organi competenti e, come si deve fare, saranno esaminati». «Per il caso Englaro ribadisco che non ho avuto nessun condizionamento politico». «Credo - ha aggiunto rispondendo a chi evidenziava i rapporti a volte turbolenti fra poteri dello Stato - che un po' di questo tipo di dialettica sia fisiologica in uno Stato di diritto, ma credo anche che bisognerebbe evitare l’esasperazione dei toni, che i poteri dello Stato non si delegittimassero a vicenda e che rimanesse sempre forte il senso delle istituzioni».
L'INCHIESTA - «Indipendentemente dalla volontà delle maggioranze o delle minoranze - ha aggiunto Deidda - i magistrati devono garantire il rispetto del giudicato fino in fondo», poichè devono garantire, «Costituzione alla mano, il rispetto dei diritti di tutti, specie dei più deboli e dei più emarginati, come è stato il caso di Eluana, in condizioni di estrema fragilità e debolezza». Deidda ha escluso di aver temuto che nelle indagini avviate a Udine «si stesse andando in una direzione non giusta o non corretta. È sempre possibile che i magistrati sbaglino - ha detto - ma il Pg c’è anche per questo, nel limite del possibile, per sostenere i pubblici ministeri del suo distretto». Infine, ha spiegato che per chiudere l’inchiesta si aspettano «le conclusioni definitive dei periti. Dopo di che - ha detto - si potrà considerare chiusa».
12 febbraio 2009
il Corriere.it
L'articolo che segue serve per illustrare l'attività di Deidda durante il suo periodo triestino. Se n'era andato da Prato ed ora torna in Toscana come Procuratore Generale di Firenze.
MV
Le “morti silenziose” dell'amianto hanno trovato finalmente una voce
di Diego Alhaique
da Articolo21.info

Le “morti silenziose” provocate dall’amianto impiegato nei cantieri navali di Monfalcone hanno trovato finalmente una voce, quella della giustizia a lungo reclamata, che ora ha risposto con un’indagine lampo: in meno di sei mesi il procuratore generale di Trieste, Beniamino Deidda, dopo aver avocato a sé le indagini ferme da oltre dieci anni, è riuscito a portare a termine l’inchiesta sui primi 42 casi tra le centinaia di vittime delle micidiali polveri respirate per decenni dentro e fuori l’Italcantieri (poi divenuta Fincantieri). Abbiamo potuto raggiungere per telefono il dottor Deidda.
Come può accadere che delle indagini su delle morti sul lavoro siano ferme per così tanti anni?
Non è accaduto solo qui. Anche da altre parti ci sono state e ci sono ancora indagini ferme. I processi fatti sono molto pochi se confrontati con i tanti morti da amianto nel nostro paese. Innanzi tutto si tratta di processi difficili, occorre ricostruire vicende complesse di anni molto lontani, storie di persone e dei sistemi di organizzazione produttiva. Occorrono poi competenze specialistiche che non tutti i magistrati possiedono. E poi c’è un’altra ragione: non da per tutto ci sono a disposizione nel territorio competenze professionali di alto livello come quelle di cui ho potuto usufruire io. Ho avuto la fortuna di potermi avvalere della consulenza di medici e tecnici validissimi, come Gino Barbieri, Donatella Calligaro, Umberto Laurenzi, Enzo Merler, Anna Muran, Stefano Silvestri. Abbiamo lavorato facendo in meno di sei mesi il lavoro di una anno e facendo quasi sempre mezzanotte. Un équipe di primo ordine.
La giustizia ha così finalmente iniziato il suo corso anche per i morti dell’amianto di Monfalcone, come lo sta facendo per l’Eternit di Casale Monferrato, ma anche ammettendo, almeno fino ad un certo anno, l’ignoranza del rischio cancerogeno - come affermano sempre i responsabili delle imprese che hanno impiegato l’amianto - era davvero inevitabile respirare queste polveri?
No, non lo era. Fin da metà degli anni Cinquanta c’erano norme che imponevano l’adozione di misure d’igiene contro le polveri di qualsiasi specie. C’erano sistemi che si potevano utilizzare, anche rudimentali, per limitare, almeno, l’esposizione. Per esempio l’uso della mascherina da sola poteva già abbattere l’inalazione del 70 per cento. E poi si potevano confinare gli ambienti di lavoro più polverosi, separandoli dalle altre lavorazioni, o prevedere turnazioni che limitassero le ore di esposizione, adottare sistemi di aspirazione ecc. Ma il punto è che l’amianto si è continuato ad utilizzare e a respirare anche dopo che si seppe del suo potere cancerogeno.
A quale anno avete fatto risalire la conoscenza del potere cancerogeno dell’amianto?
Convenzionalmente la comunità scientifica indica il 1960 come l’anno in cui si riconobbe la cancerogenicità dell’amianto, ma seguirono cinque anni d’incertezza. Noi abbiamo prudenzialmente considerato il 1965 l’anno dopo il quale non si poteva più negare questa evidenza. Abbiamo così indagato i fatti dal 1965 al 1985. È un ventennio nel quale anche in Fincantieri si cercavano alternative. Abbiamo ascoltato cento persone, sequestrato casse di documenti, ridisegnato i luoghi di lavoro, ricostruito la storia lavorativa dei lavoratori.
Chi sono allora gli accusati e cosa succederà ora?
Anziché portare a giudizio solo i vertici della Società, i direttori dei cantieri, abbiamo provato a capire l’articolazione delle responsabilità e delle competenze negli stabilimenti, chi fosse il responsabile degli acquisti, chi della direzione tecnica, chi della sorveglianza delle lavorazioni. Sono in tutto 14 persone. E si tratta di un’inchiesta che fa da ponte ad un’altra tranche dell’indagine, che riguarda le ditte appaltatrici, dove ad un certo punto è stato trasferito il rischio maggiore. L’indagine ha riguardato così la morte di 21 lavoratori della Fincantieri e 21 delle ditte esterne, anche se probabilmente alcuni casi verranno archiviati perché non s’è raggiunta la piena certezza dell’esposizione. Ora gli accusati avranno venti giorni di tempo per produrre elementi a loro difesa, dopodiché ci sarà la richiesta di rinvio a giudizio.
Il dibattimento avverrà nel 2009.

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