Non poteva mancare la puntata sulle aziende gestite da cittadini cinesi, che - vuoi per la vita relativamente molto più breve, vuoi perché, come spiega l'avvocato Bologni, il cinese è di solito rispettoso delle obbligazioni - risultano più "virtuose" (solo una nell'elenco). Ovviamente il giornalista non poteva far mancare la sua chiosa, spiegando come le questioni di dare ed avere si "chiudono" all'interno della comunità cinese... Ma le aziende che lavorano con e per italiani, come fanno?
MV
da il Tirreno de 06/01/09
Fallimenti boom: sono raddoppiati
Prato in controtendenza, quasi immuni gli imprenditori cinesi
Da un paio di anni le piccole attività sono più al riparo ma gli effetti della crisi si sentono
PRATO. Nonostante che fallire sia più difficile che in passato, il numero dei fallimenti dichiarati dal Tribunale di Prato nel corso del 2008 è tornato ad aumentare e ha superato la soglia psicologica dei cento casi, 101 per la precisione. Rispetto al 2007, che fece registrare 55 casi, i fallimenti sono quasi raddoppiati. Un altro segno della crisi economica che da tempo affligge il settore tessile, ma anche il commercio e i servizi.
In questo campo Prato sembra andare in controtendenza rispetto al resto del paese, dove il numero dei fallimenti sta progressivamente diminuendo, anche perché il decreto legislativo n. 5 del 2006, che ha prodotto i suoi effetti a partire dal 2007, ha ridotto la cosiddetta “area di fallibilità”.
«Nei tre esercizi antecedenti alla data dell’istanza di fallimento - spiega il commercialista Fabrizio Franchi - l’attivo non deve superare i 300.000 euro, i ricavi i 200.000 euro e i debiti, anche scaduti, non devono essere superiori ai 500.000 euro». Entro questi limiti il soggetto non può fallire e dunque rispetto al passato sono diminuiti i fallimenti delle piccole imprese.
«A meno che - avverte Franchi - il debitore non si presenti davanti al giudice delegato. La norma dice infatti che spetta al titolare dell’azienda dimostrare che non rientra nell’area di fallibilità. Se questo non si presenta il giudice può dichiarare il fallimento».
Scorrendo l’elenco dei fallimenti dichiarati nel 2008 non si trovano nomi altisonanti. Il tessile ovviamente la fa da padrone, ma non è raro imbattersi in imprese edili, negozi, società di servizi e progettazione. Un altro dato colpisce: tra i 101 fallimenti, stando alle ragioni sociali, si trova una sola azienda amministrata da cinesi, una confezione di via Manara. Stando al numero di imprese attive gestite da orientali, la percentuale dovrebbe essere molto più alta.
«Il cinese non fallisce perché di solito è rispettoso delle obbligazioni - prova a spiegare l’avvocato Vittorio Bologni, presidente della Camera civile - ma soprattutto perché la vita media delle aziende cinesi è molto corta». E anche, aggiungiamo noi, perché spesso le questioni di dare e avere vengono regolate all’interno della comunità prima ancora di finire in Tribunale.
Paolo Nencioni
IL CASO
Pochissimi concordati «Scarsa informazione e mentalità da giocatori»
Solo una dozzina di casi registrati nell’ultimo anno «Eppure si riscuote prima»
PRATO. Fallire non è inevitabile. Prima che la situazione precipiti, la legge consente all’imprenditore di accedere, a determinate condizioni, al concordato preventivo, ma a Prato questo strumento non è molto usato. A fronte di cento fallimenti, i concordati proposti nel 2008 sono stati una dozzina. «Sembra che qui ancora manchi la cultura del concordato - commenta il commercialista Fabrizio Franchi - E dire che il concordato presenta indubbi vantaggi, tra cui la possibilità di riscuotere in tempi più veloci».
«Un altro vantaggio - aggiunge l’avvocato Vittorio Bologni - è che col concordato l’imprenditore evita le eventuali conseguenze penali del fallimento, per esempio quelle legate alla bancarotta». Un aspetto non secondario perché, anche se non ci sono stime precise, una buona parte dei fallimenti pratesi storicamente si trasformano in bancarotte. Sulla carta punite abbastanza severamente (da tre a dieci anni di reclusione), nei fatti molto meno.
La riforma della legge fallimentare ha reso più facile accedere al concordato preventivo. Non c’è più il limite secco del 40% dei creditori che dovevano approvarlo, ora ci sono classi di creditori e non è raro che la percentuale di crediti recuperati sia molto bassa. Ma in media sempre più alta di quella che si otterrebbe andando al fallimento. «L’impressione è che qui molti imprenditori abbiano la mentalità del giocatore - ragiona l’avvocato Bologni - Anziché chiudere l’azienda le tentano tutte fino all’ultimo, sperando che il vento cambi. Forse c’è anche un po’ di miopia e di scarsa conoscenza delle procedure». La materia in Tribunale è affidata a un paio di giudici delegati. Secondo il presidente della Camera civile non ci sono grossi affanni, almeno nella fase istruttoria (in passato c’è stato anche un solo giudice). I tempi diventano molto più incerti quando si tratta di chiudere il fallimento, arrivando anche a superare i dieci anni.
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