Insomma, dopo cinque anni, i protagonisti son sempre i soliti...
MV
da il Tirreno del 07/01/09
Non abbiamo fatto gli straordinari
Giacomelli e la crisi del Pd: «La città chiedeva di più, ora siamo pronti»
«Io grande manovratore contro il sindaco? Sciocchezze. Le critiche le ho fatte apertamente Il dibattito nel Pd andava aperto prima»
PRATO. C’è una “vulgata” che gira da tempo nella politica pratese e che considera il famoso sondaggio-fantasma del Pd niente più che un’arma fabbricata ad hoc per far fuori il sindaco Romagnoli e, come effetto collaterale, anche il presidente della Provincia Logli. Questa interpretazione attribuisce il ruolo di grande manovratore ad Antonello Giacomelli, deputato del Pd ed ex vicesindaco della giunta Mattei, nonché candidato a sindaco in lizza con Del Vecchio nel 2004, quando entrambi furono poi invitati ad abbandonare la contesa, lasciando campo libero alla soluzione “esterna”, voluta dal presidente della Regione Martini: Marco Romagnoli, appunto. E proprio per prendersi una rivincita su Martini e Romagnoli, Giacomelli avrebbe guidato la rivolta contro il sindaco uscente, contando su un Pd dalla leadership “debole”. Qui finisce la “vulgata” e comincia la chiacchierata con l’onorevole Antonello Giacomelli.
«Sono chiacchiere di paese. Io ero per un dibattito aperto nel partito su questi cinque anni, sui limiti e i punti di forza di questa legislatura. Le mie opinioni non le ho nascoste, non si può dire che frequenti ombre».
E quali erano le sue opinioni?
«Che abbiamo perso alcune occasioni importanti per fare il punto e dare una scossa. L’occasione per affrontare i nodi cruciali era il piano strategico».
Cosa si doveva fare?
«La discussione attuale si poteva fare cinque anni fa, c’erano tutti i sintomi e tutti gli elementi».
Cinque anni fa ci fu il duello tra lei e Del Vecchio per la poltrona di sindaco.
«Appunto. Allora erroneamente si è immaginato che quella riflessione nuova che si apriva su Prato e il suo destino potesse essere archiviata insieme all’ipotesi di una candidatura a sindaco che non fosse della sinistra. E si è pensato di affrontare questi cinque anni come una legislatura normale».
Invece?
«Invece non doveva essere così. Non voglio certo imputare le responsabilità a una persona sola, non ho mai pensato questo. Un’autocritica dobbiamo farla tutti, tutto il gruppo dirigente. Non possiamo ripresentarci alla città e dire che abbiamo fatto tutto bene».
Perché ha citato il piano strategico?
«Perché era quella l’occasione per affrontare i nodi di Prato: l’economia, l’organizzazione del territorio e della convivenza, il rapporto con l’area metropolitana. E il filo si riallacciava agli Stati generali, un segnale dell’eccezionalità del momento. Non discuto la buona amministrazione della giunta Romagnoli. Ma da parte nostra doveva essere vista come una legislatura straordinaria».
Si possono liquidare un sindaco e un presidente di Provincia sulla base delle risposte di un certo numero di persone a un sondaggio?
«La realtà che è emersa è più difficile di come si immaginava».
Gli elettori del Pd non hanno potuto giudicare: non hanno visto niente.
«Il sondaggio l’hanno visto per primi, oltre ai segretari del Pd pratese e regionale, il presidente Martini, il sindaco Romagnoli e Logli. I primi che ne hanno tratto le indicazioni sono loro».
Non le pare che tutta questa faccenda poteva essere gestita meglio?
«Credo che sia stata considerata la portata di quel sondaggio. C’è stato un momento di straordinaria difficoltà. Si può discutere ancora di errori di gestione, ma non vorrei che si continuasse a guardare il dito e non la luna. Il problema sta nelle indicazioni emerse».
Si fanno fuori i vertici dell’amministrazione perché c’è bisogno di uno shock e di un salto di qualità, poi la soluzione è un candidato che all’apparato del partito deve tutta la sua carriera.
«Bisogna tornare ancora a 5 anni fa. Allora ci siamo trovati di fronte a un’impasse e a una divisione del gruppo dirigente degli allora Ds. Dopo la mia uscita di scena, sono emerse diverse posizioni e diverse candidature. Rispetto alla ricerca della sintesi, si preferì ricorrere a una personalità esterna al gruppo dirigente, apprezzata per la competenza. Al di là della persona, questa soluzione ha lasciato come ibernati i nodi delle relazioni e dei rapporti nel gruppo dirigente e con la città. Direi che anche le amministrazioni hanno pagato questa situazione».
E ora cosa cambia?
«Il Pd pratese non deve evitare un’assunzione diretta di responsabilità. E’ stato giusto affrontare una discussione pubblica e arrivare a una sintesi. Era giusto che il gruppo dirigente messo in dubbio e in crisi dall’opinione pubblica, rispondesse rilanciando e non ricercando una figura esterna».
Lei sostiene Abati.
«Abati appartiene a una generazione più giovane e proverà a rilanciare il rapporto con la città. Inoltre ha il merito indubbio di aver fatto del Consiag il protagonista di uno dei fatti nuovi della politica energetica di questo paese. La fusione con Arezzo e Siena, il rapporto di intese con Acea e Era tolgono a Consiag l’aria dell’aziendina locale, ne fanno uno strumento innovativo. Prato deve diventare centro di produzione energetica e di servizi alle imprese e Consiag sarà un protagonista».
Nel partito c’è chi chiede un rinnovamento della segreteria contestando appunto la gestione di questa crisi. Lei cosa ne pensa?
«Benedetta Squittieri ha fatto bene. Spero che rimanga e continui a occuparsi del Pd. In questa situazione così difficile ha avuto coraggio, ha affrontato la crisi senza mettere la testa sotto la sabbia».
Ma intanto i sondaggi allarmano il Pd.
«Bisogna partire dalle difficoltà che il Pd incontra nelle sue roccaforti, Toscana e Emilia. Prato è un caso perché i due fenomeni principali - crisi del lavoro e immigrazione eccezionale - convergono in uno stesso microcosmo con effetti dirompenti. Il non vedere prospettive concrete per sé e la propria famiglia crea pessimismo, voglia di cambiamento. Non è tanto una questione di sicurezza, come pensa Milone, ma di convivenza quotidiana, di rispetto delle regole. C’è un problema generale di legalità e di convivenza difficile, oltretutto con una comunità che non si apre, che ha una cultura molto diversa. Chi ospita non può abdicare ai propri diritti».
Cosa può fare il Comune?
«Non basta dire che certe risposte non stanno nei poteri del Comune. E’ chiaro che non è schierando i vigili urbani alle frontiere del Comune che si ferma l’immigrazione, non la fermano Bossi e Fini, visto che gli sbarchi continuano ad aumentare. Ed è altrettanto chiaro che la crisi del tessile ha cause mondiali. Ma bisogna dare comunque delle risposte».
Il Comune è a rischio?
«Non vedo consenso spostarsi su un’altra proposta politica. Vedo una crescente voglia di non voto, di protestare, una disaffezione».
Come si interviene sui temi dell’immigrazione e della sicurezza?
«Parlerei di problemi di convivenza. Più che con i poteri sostitutivi della Questura, si interviene con gli strumenti del governo e della politica. A cominciare dagli strumenti di organizzazione del territorio. Recuperando un ritardo che - sono pronto ad ammetterlo - non è solo di questa giunta».
Impazza il tormentone dell’esercito: per qualcuno sembra l’unica panacea ai problemi di Prato.
«E’ un dibattito ridicolo. L’offerta dell’esercito è una trappola in cui siamo cascati».
In che senso?
«Nel senso che l’offerta non c’era. Mi piacerebbe sapere chi concretamente da parte del governo ha formulato l’ipotesi, in quali termini e a chi».
Pare di capire che per lei non rappresenta una soluzione.
«Trovo ridicolo che i problemi di convivenza tra migliaia di persone, di rapporti economici, di relazioni nei condomini, siano affidati a venti bersaglieri in giro per la città».
Difende il Patto per la sicurezza?
«Il Patto per la sicurezza ha prodotto risultati efficaci, grazie a controlli mirati. Si deve rispondere con strumenti adeguati non con interventi scenografici come gli alpini a spasso nel Corso».
Sull’economia cosa può fare il Comune.
«Comune e Provincia da soli non hanno grandi strumenti. Ma dobbiamo mettere a fondamento delle nuove candidature che chi governa sta 24 ore su 24 lì dove c’è il problema, lo affronta con la sua gente e con gli strumenti che ha».
La lista Milone può far saltare il quadro elettorale?
«Ancora non mi rassegno all’idea che Milone intenda davvero percorrere una strada solitaria e autonoma. Credo poco all’utilità della lista civica che isola un problema ne fa il tutto e su quello cerca il consenso; potrà fare eleggere qualche persona, ma i problemi si risolvono solo inseriti in un contesto generale di governo cittadino. Milone ha avuto il merito di accendere nel centrosinistra una riflessione più avanzata sul tema della sicurezza e avrebbe un grande ruolo se dimostrasse che gli sta a cuore la soluzione del problema, la risposta efficace, più che la legittima ambizione elettorale. Il centro sinistra affronterà con forza i temi del rispetto delle regole e della legalità: la generosità e l’esperienza di Milone sarebbero utili».
Qualcosa da dire ai pratesi?
«Che è tempo di scuotersi, bisogna ritrovare l’unità d’intenti dei giorni migliori. Agli imprenditori dico che il loro ruolo è fondamentale. Sono vicino a quelli che forse non hanno cariche di rappresentanza nelle categorie, ma sono ogni giorno sul mercato a difendere il futuro della propria azienda e resistono alla tentazione di mollare e investire in settori più redditizi. Il Pd sarà dalla loro parte. Del resto alla base di un distretto c’è un patto sociale. Ora si parla ovviamente di questi ultimi tre anni terribili, ma bisogna tener conto degli anni precedenti in cui le cose sono andate diversamente, ci sono stati utili; pensare alle migliaia di persone che hanno legato il loro lavoro all’ingegno e anche all’incoscienza degli imprenditori. In questo patto sta la tenuta sociale della città: gli imprenditori devono ricordarsene».
Nessun commento:
Posta un commento