TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

domenica 21 settembre 2008

Scuola. La CGIL di fronte allo sterminio.

Da IL MANIFESTO riportiamo questo articolo che condividiamo in pieno.
mv

Scuola, aspettando la Cgil
Michele Corsi *


Domanda. Quali sono i sindacati di categoria che non sciopererebbero vedendosi tagliati un sesto dei posti di lavoro? Risposta: le federazioni scuola di Cgil, Cisl e Uil. Lasciamo stare Cisl e Uil alla cui passività siamo abituati. Ci occupiamo della Cgil scuola, oggi Flc, che dice sulle malefatte della Gelmini cose assai giuste, ma per contrastarle fa cose assai confuse, e rade. La Gelmini deve aver ricevuto qualche mese fa un foglietto da Tremonti su cui c'era scritto: sulla scuola devi tagliare 130 mila posti di lavoro, esegui e fa pure presto. E lei ha eseguito. Soffermiamoci sui numeri. Nella vicenda Alitalia, che ha suscitato a giusto titolo un gran vespaio, si parla di 5 mila posti di lavoro in meno. Dobbiamo lottare per mantenerli, ovviamente, mi sfugge però perché la soppressione nella scuola di un numero di posti 26 volte superiori a quelli Alitalia abbia suscitato reazioni tanto tiepide. Nella scuola saltano decine di migliaia di precari che non sono tali perché somari o fannulloni, ma perché i concorsi non vengono indetti da una vita e le immissioni in ruolo sono centellinate: gente che lavora nella scuola anche da 15 anni. E ciò che sta per capitare oggi a questi colleghi è il «licenziamento», senza ammortizzatori sociali, né cassa integrazione, né mobilità. Ma anche quelli di ruolo non dovrebbero dormire sonni tranquilli, la Gelmini ha già detto che si prevedono esuberi tra le maestre, che verranno impiegate, sembra, per le ore eccedenti le 24, ove richiesto. La ministra nella sua fredda esecuzione di questo piano di sterminio non ha ritenuto necessario mascherarsi dietro un fitto armamentario ideologico come aveva fatto la Moratti. Ricordate? La commissione Bertagna, la riforma delle superiori, e tutte quelle teorizzazioni vaste, ancorché risibili, d'accordo, ma che testimoniavano una certa prudenza nell'affrontare il mesto compito che tutti i governi si son dati (centrosinistra compreso, che però mentre lo fa, sorride): tagliare le risorse della scuola pubblica. Tagli, tagli, tagli. Riguardo al maestro unico, ad esempio, la Gelmini dice che per i bambini è bene avere un solo punto di riferimento. Punto. Uno non fa a tempo a domandare «e perché?» che quella ha già tagliato l'angolo.
Del resto i piani di sterminio hanno bisogno di precisione e efficienza, mica di tanta aria fritta, e come giustificazione ideologica basta anche una frasetta irridente scritta in alto all'entrata del campo, potrebbe essere «i tagli rendono liberi».
La propaganda unificata fa intendere al popolo che le proteste che si stanno levando dalla scuola sarebbero una specie di faccenda privata degli insegnanti, frazione estroversa della massa sfaccendata dei dipendenti pubblici. E' bene spiegare che i tagli al personale della scuola si riflettono in maniera immediata sul benessere di tutti. Diminuire da 40 a 24 ore il tempo scuola delle elementari significa ad esempio sconvolgere in una città come Milano, la vita della gran parte delle famiglie. Un eventuale doposcuola, sarebbe necessariamente a pagamento, dato che i tagli riguardano anche i comuni, che quindi non potrebbero offrir gratis quel servizio. La faccenda riguarda anche la diminuzione del tempo scuola alle medie, con l'eliminazione del tempo prolungato, e alle superiori con l'allineamento delle ore dei tecnici e dei professionali (36 ore) a quelle dei licei (30 ore o 32). Il fatto che nei licei il numero di ore siano sempre state meno è dovuto al fatto che nelle altre scuole, come attesta ogni statistica, vanno in prevalenza figli di lavoratori. Questi ultimi spesso non dispongono di genitori in grado di seguirli negli studi, e soprattutto non dispongono di soldi per pagare fior di ripetizioni. Per questo star di più a scuola nei tecnici e nei professionali significa un'opportunità di maggior successo scolastico. Lo stesso si può dire per le elementari. Ci sarà l'aumento stratosferico dei compiti a casa, col bambino sballottato di qua e di là e con una possibilità socialmente diseguale di seguirne l'andamento scolastico. E' facile in queste condizioni immaginarsi il moltiplicarsi di scuole elementari private, magari orrende, ma che per lo meno assicurano il parcheggio continuato sino all'ora in cui i due genitori tornano dal lavoro. Tagliare vuol dire anche aumentare il numero di alunni per classe. Non vi è studio che non attesti in maniera inequivocabile la diretta correlazione tra basso numero di alunni per classe e successo scolastico. Riempire le aule significa spingere gli insegnanti a eliminare da subito i più «difficili», per riuscire a seguire meglio il resto. Significa in ultima analisi un aumento delle bocciature. Già oggi il 20% degli adolescenti non si diploma, chissà dopo lo sterminio. Pensiamo che tra questi adolescenti ci siano figli di industriali e banchieri? Ma andiamo! Per i bocciati la Gelmini ha riservato un campo speciale: la formazione professionale. Formazione che sarebbe un'ottima cosa se servisse a organizzare corsi postdiploma e aggiornamento professionale e non venisse usata invece per scaricarci quelli che a scuola «proprio non ce la fanno».
Il governo decretando che l'obbligo può assolversi anche nella formazione professionale, che non è scuola, ha nei fatti riportato indietro a 14 anni l'obbligo scolastico, quando ormai in tutto il mondo si va verso i 18. Favorendo così istituzioni private e impoverendo la scuola pubblica. Come si vede, la vicenda scuola riguarda tutti, e in special modo i lavoratori e le lavoratrici. Perché la Cgil, tutta, non ne fa il terreno privilegiato, non esclusivo, di scontro con la controparte? Con lo stesso ruolo agglutinante ricoperto dalla difesa dell'art. 18 durante il secondo governo Berlusconi. Il movimento antimoratti ha dimostrato che su queste problematiche è possibile costruire larghe alleanze sociali (genitori, lavoratori, studenti...).
Vanno bene le manifestazioni contro la politica del governo (come quella della Cgil del 27) o anche gli scioperi generali (come quello del sindacalismo di base del 17 ottobre), ai quali certo si deve partecipare, ma alla gran parte della gente in questa congiuntura le iniziative che si presentano con rivendicazioni che sembrano liste della spesa e che coprono tremila questioni, appaiono «politiche», nell'accezione negativa che ha assunto il termine in questi anni: non è vero che mettendo insieme tutto, si coinvolgono tutti.
Si dà l'idea invece di non disporre di una chiara strategia di rivincita, di non lottare per ribaltare i rapporti di forza su un qualche terreno, ma solo di offrire degli sfogatoi per gli attivisti mazziati.
Come si fa a chiamare alla lotta contro tutto, quando la Cgil scuola di fronte a quest'attacco spaventoso e senza precedenti si è limitata a produrre un...comunicato stampa? E' come se si fosse detto ai lavoratori Alitalia: non scioperate, tanto tra un po' facciamo una manifestazione o uno sciopero generale contro tutta la politica del governo. Appuntamenti di quel tipo si costruiscono nel tempo se prima si è riusciti a ripartire dai bisogni materiali, immediati delle persone. E il bisogno immediato della scuola è che si scioperi contro i tagli, subito. Nelle scuole la gente (che ha votato maggioritariamente la Cgil) si domanda: la Cgil che fa? Già: che fa?

* Itsos Steiner, Milano

1 commento:

Anonimo ha detto...

voglio rendere partecipe municipio verde di questa mia lettera scritta al presidente della repubblica riguardo a quello che sta succedendo alla scuola italiana.
Eccola:

Egregio signor Presidente,
sono un maestro e potrò dirmi tale solo per poco. Infatti, sono un insegnante precario.
Vorrei chiederle soltanto una cortesia: potrebbe spendere qualche parola su noi insegnanti precari?
Non come sanguisughe o fannulloni, come gran parte dell’opinione pubblica ormai ci taccia.
Gli interventi dell’on. Gelmini e di altri ministri mi offendono nel profondo.
Io mi ritengo, nel mio piccolo, un fedele ed onesto servitore dello Stato e sento il mio lavoro come una vocazione, tanto da presentarmi a scuola anche con la febbre. Senza contare che quando mancava, ho acquistato materiale didattico con i miei soldi.
È da diversi anni che io e mia moglie (entrambi calabresi e maestri) lasciamo i nostri cari per andare a Prato e lasciare lì quasi l’intero stipendio per dare il nostro contributo alla formazione delle generazioni future, per poi ritornare in Calabria soltanto due mesi d’estate (senza stipendio). Non abbiamo mai chiesto niente a nessuno, anzi fino a qualche mese fa progettavamo di acquistare casa (accollandoci un mutuo) e di pensare più seriamente a metter su famiglia. Ma ora? Cosa dobbiamo aspettarci?
Lo Stato già ci ha traditi costringendoci a spostarci più a Nord, si è fatto negare quando abbiamo chiesto che i nostri diritti venissero rispettati ed ora ci liquida perché non serviamo più, anzi veniamo pure insultati.
Io non sono un ignorante, né un scansafatiche e sarei ben lieto di dimostrarlo: ho una laurea da 110 e lode, due master conseguiti con ottimi risultati, ho scritto per diversi giornali e da quando avevo 25 anni sono entrato nel mondo del lavoro. Mia moglie è laureanda e praticamente lavora (ha lavorato anche in nero) da circa dieci anni. Insomma, ci siamo sempre dati da fare. Ma la mannaia che sta per abbattersi su di noi è veramente terribile. Abbiamo paura. Tutti e due abbiamo più di trent’anni e ci sentiamo fuori da gran parte del mercato del lavoro. Forse, riusciremo a riprenderci dagli effetti che provocherà la conversione in legge del decreto legge n. 137, ma cosa ne sarà di quei precari con figli o, peggio, con un mutuo?
Le assicuro che conosco diverse persone che hanno acceso un mutuo per comprare casa e possono contare solo sul proprio reddito a tempo determinato e – se va bene – su quello del/la consorte (magari anch’esso risicato).
Non voglio muoverla a pietà, né voglio difendere i presunti privilegi della mia categoria, vorrei soltanto farla riflettere sulle conseguenze che avrebbe una sua firma (come dice l’articolo 73 della nostra Costituzione) sull’eventuale legge basata sul decreto legge del ministro Gelmini.
Per favore, non firmi!
Si avvalga del suo diritto stabilito nell’articolo 74 della Costituzione.
Intervenga fin da adesso a nostra tutela. Glielo chiedo per me, per mia moglie e per duecentomila silenziosi e anonimi servitori dello Stato.
Spero che mi scuserà se in questa mia lettera non ho addotto alcun motivo didattico o pedagogico contro la reintroduzione del cosiddetto “maestro unico”, ma credo che le sarà sufficiente pensare ad un unico docente che dovrebbe provvedere ai bisogni educativi e formativi di una classe di prima elementare, formata per il 60% da extracomunitari (in particolare da cinesi) con grosse lacune linguistiche, senza l’aiuto di un mediatore culturale e con pochi mezzi a disposizione (cartelloni, gessi, ecc.). Ecco, quest’anno, lo dobbiamo fare io ed una collega. All’insegnante unico che l’anno prossimo si troverà in una situazione simile va il mio in bocca al lupo…
Rispettosamente,
Ivan Pucci