TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

venerdì 12 settembre 2008

Politica. La lotta di classe ai tempi del fascismo postmoderno.


Vicentini, rom e altri abusivi
di Pierluigi Sullo



Ho firmato, insieme a vecchi amici e stimabili persone, un appello che incita le sinistre rotte e depresse a dare un segno di vita l'11 ottobre prossimo. Forse ho fatto male e forse no. Temo però che, mentre le sinistre erano impegnate a rompersi e a deprimersi, in giro nelle nostre città e fino ai paesi più piccoli abbia strisciato pressoché indisturbato un animale subdolo e letale. Al quale non saprei dare un nome preciso, essendo «razzismo» incompleto e «fascismo» impreciso. Con Marco Revelli, che ne ha scritto su Carta, ci siamo alla fine accordati per «fascismo postmoderno», o «democrazia dispotica»: un complesso di sub-ideologia, «fiction» televisiva, atti legislativi d'autorità (decreti, per lo più) e fatti pratici che disegnano il profilo di un «regime» (altra parola presa in prestito dal passato). Di cosa precisamente si tratti non sappiamo, come arginarlo ancor meno. Però, e è già qualcosa, sappiamo che c'è, e questa consapevolezza ci permette di cucire insieme eventi che si presentano come trascurabili o occasionali e che in sostanza non sarebbero tali da turbare l'ordine mentale con cui le sinistre guardano alla stagione che viviamo. Per cui sì, Alemanno e La Russa sono effettivamente dei fascisti, lo sono sempre stati e cercano ogni giorno di sfilacciare - come ha scritto Revelli sul manifesto - la trama repubblicana cui ritualmente il presidente della repubblica, Napolitano, si aggrappa (e meno male). E è vero che a Roma lo stillicidio di aggressioni di bande dell'estrema destra, come ha benissimo documentato su questo giornale Giacomo Russo Spena, ci spinge all'indietro nel tempo, alla guerra di movimento degli anni settanta. Ma, ecco la domanda, siamo sicuri che sia questo il pericolo? Certo lo è stato per Renato Biagetti, che è stato ucciso.

E però a corrodere il senso del vivere comune provvedono non solo le aggressioni dietro l'angolo di centri sociali e altri luoghi di riunione giovanile. Il segretario della Cgil di Brescia, Fenaroli, con il quale ho parlato a proposito dei fatti di Bussolengo - l'intollerabile violenza cui alcuni rom sono stati sottoposti in una caserma dei carabinieri - dice che nella sua città, prima a firmare un «patto per la città sicura» dopo l'insediamento di Maroni al Viminale, la caccia al «clandestino» sta diventando una perversione sociale, e se hai un vicino straniero che ti dà fastidio chiami i carabinieri dicendo «è un clandestino» o se un gruppo di musulmani, il venerdì, si riunisce per la preghiera, ecco che arrivano i poliziotti per chiedere a tutti i documenti.

Ma da che cosa si riconosce un «clandestino»?, si chiede ragionevolmente il sindacalista bresciano. Dal colore della pelle? Ma allora i romeni o gli ucraini, che sono bianchi e spesso biondi? Vuol dire che la vicinanza del prossimo si vena di sospetto, di ostilità, di paura. Della sensazione che ci siano esseri meno umani di altri. E se anche sono cittadini italiani, come i rom sequestrati e torturati dai carabinieri di Bussolengo, e vivono da sempre nei pressi di Brescia, sono però rom, cioè non-persone. E questo consente di trattarli a quella maniera. Di qui a considerare abusivi e pericolosi per la «sicurezza» cittadini come quelli di Vicenza, ai quali Berlusconi vorrebbe vietare di manifestare in un referendum il loro gradimento o meno per una base militare, il passo è brevissimo. E, fatto molto inquietante, le categorie consuete del politico vengono travolte da un pragmatismo «fascistapost», per il quale il governo blatera di federalismo e aggredisce una città che vuole far valere la sua opinione.

Ecco, se una assemblea, o manifestazione, o quel che sarà, l'11 ottobre, prendesse sul serio le novità per molti versi incomprensibili, e che certo esondano oltre un argine storicamente stabilito con la Costituzione, allora forse potrebbe servire a qualcosa, quell'appello. La lotta di classe, di questi tempi, è una complicata linea di frattura del suolo sociale che corre attraverso i campi rom, in mezzo al Canale di Sicilia, dove annegano migranti, nelle valli e nelle città che vengono aggredite da valanghe di cemento, da basi militari e da altri orrori.

Non solo nei luoghi di lavoro, che peraltro spesso è difficile individuare con precisione. Forse sbagliamo tutto, e basterà abbassare la soglia di sbarramento alle prossime europee per salvare la democrazia in questo paese.
Da Il Manifesto 11.09.'08

Nessun commento: