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La mer, la fin...

lunedì 27 aprile 2009

Diritti umani/Guerra. Cecenia.

Rivelazioni Due militari dei corpi speciali al Sunday Times
«Li polverizzavamo con l'esplosivo» Le confessioni-choc dei russi in Cecenia
Cadaveri fatti saltare dopo le torture, che spesso venivano anche filmate


Soldati russi in Cecenia (foto d'archivio 1996)

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA — La documenta­zione sulle atrocità commesse in Cecenia dalle truppe specia­li russe e dalle forze locali fede­li a Mosca è abbondante, ma proviene quasi interamente dai racconti delle vittime. Adesso per la prima volta ab­biamo le ammissioni dei car­nefici. Due componenti delle truppe speciali russe che han­no raccontato al settimanale britannico Sunday Times co­me in dieci anni di «sporca guerra» hanno torturato, ucci­so e fatto sparire i corpi polve­rizzandoli con l’esplosivo. Il tutto in una lotta senza esclu­sione di colpi contro «terrori­sti disumani» che rapivano, stupravano a loro volta gli ostaggi, torturavano con le motoseghe i soldati russi cat­turati e filmavano il tutto.
Una guerra che si è trascina­ta dal 1999 e che il Cremlino ha appena dichiarato conclusa (vittoriosamente) ordinando il ritiro delle truppe federali e la­sciando il territorio nelle mani delle milizie locali guidate dal presidente Ramzan Kadyrov, un ex guerrigliero diventato al­leato dei russi. Una guerra non paragonabile a eventi che han­no coinvolto in questi anni sol­dati europei o americani. Af­ghanistan, Iraq, la prigione di Abu Ghraib sono un altro mon­do rispetto a Grozny e ai centri nei quali operava­no gli spetsnaz del ministero dell’Inter­no russo e quelli dell’Fsb, il successo­re del Kgb.
Due ex agenti speciali hanno ac­cettato di parlare della loro esperien­za con il corrispon­dente del Sunday Times Mark Fran­chetti, spiegando che le loro erano azioni compiute «per amor di pa­tria» allo scopo di sradicare un terrori­smo colpevole di delitti atroci, come i sequestri di ostaggi nel teatro Dubrovka di Mosca e nella scuola di Be­slan, dove morirono 334 ostag­gi, in buona parte bambini.Andrej, dieci anni di Cece­nia, ha raccontato di quando con i suoi ha fatto irruzione in una casa dove era stata segnala­ta la presenza di una donna che istruiva le «shakidka», ra­gazze- kamikaze da spedire in giro per la Russia (su aerei, nei mercati, alle stazioni del me­trò). Grazie all’elettroshock, la donna confessò. Dopo averle sparato in testa, i soldati porta­rono il corpo in un campo, do­ve lo polverizzarono letteral­mente con una forte carica di esplosivo: «Niente corpo, nien­te prove, nessun problema». La questione importante, han­no raccontato gli agenti, «era di agire secondo la volontà im­plicita dei superiori ma senza farsi beccare: sapevamo che se ci fosse stato uno scandalo ci avrebbero abbandonato al no­stro destino».
I sospetti venivano interro­gati senza troppi complimenti. E non con il waterboarding di dubbia efficacia. «Uno dei me­todi migliori è quello del piano­forte — ha raccontato Vladi­mir, l’altro spetsnaz —. Con un martello si procede con il soggetto dito dopo dito, fino a che non parla. Si possono an­che rompere le ginocchia, altra parte molto sensibile».
Una volta quattro agenti rus­si furono ammazzati e gli agen­ti speciali risalirono a duecen­to persone che avevano, secon­do loro, collaborato al rapimen­to e all’uccisione degli uomini. Uno a uno furono trovati, cattu­rati ed eliminati. Una donna cecchino una vol­ta venne eliminata facendole passare sopra un carro armato. In un’operazione, Andrej incap­pò in una specie di ospedale da campo in una grotta, con dozzine di terroristi feriti e al­cune donne che li curavano.
Quelli in buone condizioni furono portati via per essere in­terrogati, gli altri furono elimi­nati sul posto assieme ad alcu­ne delle infermiere. A volte le torture venivano filmate, an­che in risposta ai video che i ce­ceni facevano pervenire alle tv russe. «Ne trovammo uno che aveva vari filmati di ostaggi russi torturati. Militari decapi­tati, uno sul quale avevano in­fierito con una motosega. E poi una bambina di dodici an­ni alla quale avevano staccato tre dita dopo averla stuprata. Eravamo fuori di noi. Un mio uomo non riusciva a togliergli le manette per farlo alzare in piedi. Allora ha preso un’ascia e gli ha staccato una mano».
Fabrizio Dragosei
27 aprile 2009
Corriere.it

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