TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

mercoledì 15 aprile 2009

Costruire l'alternativa. Si cambia anche così...


da il corriere.it
La banca nega il fido, caseificio salvato
dai clienti con un'«adozione a distanza» Mille famiglie dei gruppi d’acquisto solidale hanno pagato in anticipo le forme di grana

GOTTOLENGO (Brescia) — Strozzato dalle banche, in grave crisi di liquidità, ha ri­schiato di chiudere il caseifi­cio di famiglia, 200 anni di la­voro e tradizione alle spalle. Lo ha salvato un sos lanciato ai «Gas» — gruppi di acqui­sto solidale — che rappresen­tano lo zoccolo duro dei suoi clienti. Così 85 gruppi, quasi mille famiglie distribuite nel­le province di Bergamo, Bre­scia, Como, Lecco e Milano, hanno comprato in anticipo le forme di grana: un’adozio­ne a distanza lunga 36 mesi, il tempo necessario per la sta­gionatura del formaggio. Ma soprattutto un esperi­mento di finanza dal basso, con i clienti che si sostituisco­no alla banche, facendo spal­lucce alla crisi. A un anno da quella che sembrava solo una gara di solidarietà, Massimo Tomasoni, 40 anni, proprieta­rio con i due fratelli del casei­ficio di famiglia, a Gottolen­go, tra Brescia e Cremona, ti­ra le somme: «Nel mese di marzo il fatturato è cresciuto del 30%, ma in generale abbia­mo avuto un incremento del 150%. E i nostri clienti per ef­fetto del passaparola sono tri­plicati». Un rapporto intensifi­cato dalla consegna porta a porta e dal continuo scambio di informazioni con i consu­matori.

La storia del caseificio To­masoni è singolare. «Ci sia­mo convertiti al biologico dal 2000 al 2004, tra le preoccupa­zioni dei miei fratelli. E’ anda­ta bene, anche se la scelta ha comportato sacrifici: il fattu­rato che nel 2003 era di 2,5 milioni, passa a 300mila euro l’anno successivo, per poi ri­salire al milione del 2008. Il 45% del prodotto è rivolto ai gruppi «Gas», il resto a distri­butori italiani e stranieri». Poi, la crisi: «I prezzi del latte si sono impennati, sono cre­sciuti del 25% in pochi mesi. C’erano esposizioni con le banche per un milione e sei­centomila euro circa, in parte ipoteche sullo stabilimento e in parte garantiti da pegno sul prodotto. In più avevamo forme di grana in stiva per tre anni: troppi, e quasi 27mi­la euro di costi per il magazzi­no, perché il formaggio ha bi­sogno di stagionare».

Quando i fornitori di latte battono cassa, Tomasoni ve­de nero. «Bastava un altro fi­do, servivano in tutto 150mi­la euro. Ma nessuno degli isti­tuti di credito cui mi sono ri­volto mi ha dato quei soldi». Non restava che informare i clienti del collasso. In una mail inviata a gennaio dell’an­no scorso, Tomasoni fa il pun­to: espone i problemi e antici­pa che con ogni probabilità non sarà in grado di fornire formaggio a lungo. La prima risposta arriva la sera stessa dell’invio. «Per me è stato il segnale della svolta — dice oggi l’imprenditore — erano spariti tutti, i miei clienti pe­rò rispondevano». E adesso che ha comincia­to a restituire il prestito ricor­da quelle testimonianze di so­lidarietà. «Non preoccuparti, studiamo insieme una possi­bile soluzione», scrivono da Lecco. E parte, via Internet, il tam-tam per salvare il caseifi­cio. «Difficile trovarne un al­tro biologico, e ci vuole trop­po tempo per convincerne uno tradizionale a diventare biologico», fanno eco gli altri «Gas». Che, convocata una riunione, decidono di finan­ziare Tomasoni raccogliendo 110mila euro come anticipo sulle forme di grana. Il resto lo mette una cooperativa fi­nanziaria solidale per il mi­crocredito, «Mag2».

Ora che è fuori dalla crisi, Tomasoni, pioniere di questa nuova economia, ne spiega il segreto: «Buon senso e rispet­to della persona: io guardo ne­gli occhi i miei clienti, non po­trei mai truccare il mio for­maggio solo per vendere di più». Il risultato Tomasoni lo racconta con un semplice confronto: «Nel 2002 ho ven­duto ai "Gas" 6mila euro di formaggi; quest’anno nei pri­mi tre giorni di aprile ne ho già incassati 9 mila».

Olga Piscitelli
15 aprile 2009

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