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La mer, la fin...

martedì 14 aprile 2009

Prato. Economia: uscire dalla crisi secondo Biguzzi (Pd)

Siamo sempre interessati a seguire gli interventi di Biguzzi sul distretto tessile. Voi no? Ehi, sveglia!
Forse però Carlesi... un posticino... magari alle attività produttive... Si sentirebbe meno solo...
mv

da il Tirreno del 14/04/09
«La mia ricetta per Prato non è quella di Cenni»

Le cause della crisi strutturale della nostra industria centrata sulla produzione di prodotti tessili, una volta separata dai fattori della abnorme crisi finanziaria che imprigiona attualmente il mondo, si sostanziano nel semplice fatto che nel mondo ci sono soggetti che producono, dotati di macchinari uguali ai nostri, i manufatti della nostra industria a costi molto più bassi.
Nei paesi emergenti (Cina e altri) si lavora molto più di 8 ore, si pagano le maestranze e i servizi privati e pubblici alle imprese a livelli incomparabili con i nostri (“dumping” sociale), le aziende sono gravate da imposte trascurabili e beneficiano di consistenti aiuti pubblici.
Non ultimo si assiste a una politica di controllo dei cambi che agevola le esportazioni, dei prodotti cinesi in particolare.
Ciò provoca il fenomeno di mercato per cui i prodotti cinesi e di altri paesi hanno un vantaggio competitivo in termini di prezzo di almeno il 50%.
Ma a livello qualità i tessuti e filati cinesi sono paragonabili a quelli prodotti dalle industrie pratesi? I conoscitori del tessile rispondono che nelle tipologie dei prodotti più semplici la qualità è simile, in quelli più complicati no.
Se non vogliamo che il processo di deindustrializzazione di Prato arrivi a risultati insostenibili sul piano sociale occorre una visione capace di constrastarlo:
Prima soluzione: adeguare Prato alla cornice di “gap” normativo, in quanto moltiplicatore di costi che minano la competitività: niente tasse, niente contributi, niente tutele sindacali, niente protezione dell’ambiente, nessuna limitazione agli orari di lavoro; insomma costituzione e fondazione nel territorio di Prato di uno schema di “zona franca”, peraltro a certe condizioni normata come possibile anche a livello di Comunità Europea. Un ritorno agli albori della rivoluzione industriale con possibili scenari alla Dickens.
Ciò, seppure ripugnante, ha una sua logica: meglio un lavoro mal pagato e un’economia con gli orizzonti oscurati dalle incontrollate emissioni atmosferiche cinesi, che una città senza industria e lavoro, con la gente costretta a emigrare. E’ l’idelogia di mercato allo stato puro, senza regole e vincoli.
Seconda soluzione: si opta per la convinzione che la nostra storia di produttori tessili permette di valorizzare e certificare la migliore qualità e contenuto creativo dei prodotti della nostra industria. Occorre quindi perseguire una politica decisa di protezione del marchio “Made in Italy” (perché non made in Toscany, forse più facile da realizzare?), assegnandolo unicamente a quei prodotti che hanno un ciclo di produzione interamente sviluppato sul territorio.
Se si consolida il valore aggiunto del “marchio del luogo di produzione” disciplinato rigidamento si scoraggerebbero anche le delocalizzazioni in paesi con basso costo della manodopera, e si potrebbero rendere non convenienti le politiche industriali “alla Cenni”, candidato sindaco del centrodestra, che alla ricerca del minor costo del manufatto, sceglie paesi con basso costo della manodopera, quando la valorizzazione del marchio “fatto in Italia” potrebbe facilmente compensare il maggior costo, che rapportato comunque al prezzo in bottega, è del tutto marginale e secondario.
Tale azione, che comporta tempo, va comunque accompagnata da una politica regionale e nazionale di sostegno all’industrial tessile che deve dipanarsi nella seguente direzione: sospensione temporanea del gravame contributivo a carico dei lavoratori e delle aziende, reintroduzione della “dual income tax” o, in alternativa della “Tremonti bis” in materia di investimenti, sospensione temporale degli studi di settore, contributi regionali a fondo perduto in materia di investimenti nella produzione di energia (solare, eolica).
Come si vede occorre una politica organica di interventi, una vera e propria politica industriale per le aree in declino. Non basta proporre, come fa qualche esponente del centrodestra, l’abolizione dell’Irap (sarebbe onesto spiegare come la Regione potrebbe finanziare il sistema sanitario una volta abolita l’Irap); occorrono degli interventi sistematici di natura fiscale e parafiscale che sono soprattutto nelle mani del Governo.
Certo il Comune, la Provincia e la Regione debbono fare la loro parte. In che direzione? 1) Il Comune deve mettere mano all’assetto delle aziende comunali, Consiag, Asm, in particolare. Deve far elaborare ed attuare in tempi brevissimi un piano industriale finalizzato alla creazione di una sola società multi servizi, volta ad espandersi, attraverso le opportune alleanze, in tutta la Toscana, impostando un ambizioso piano di sviluppo in nuovi settori di intervento (energia elettrica prodotto con fonti rinnovabili, solare e fotovoltaica), sviluppo di un piano di gestione integrata dello smaltimento dei rifiuti realizzando in tempi brevi tutti gli impianti necessari (le discariche sono sempre più costose e i costi stanno lievitando in modo insopportabile).
Quanto alle risorse, che la società multiservizi venga in tempi brevi quotata in borsa, le azioni collocate in città, date ai cittadini, alle associazioni economiche di categoria, ai sindacati.
Le risorse quindi non mancheranno e si raggiungerebbe altresì il risultato di una maggiore efficenza economica della azienda, attraverso la promozione di gruppi dirigenti in cui prevalga il merito con tariffe delle forniture più basse e più efficienti.
Il Comune e la Provincia, debbono creare i presupposti per l’avvio di una grande “parco tecnologico” sul modello di quelli esistenti in altre città d’Italia, attraverso la formulazione di un accordo quadro con le principali banche della città, con le istituzioni di ricerca private e pubbliche, con gli enti, le associazioni di categoria e i sindacati, che possa presidiare e promuovere il processo virtuoso della diversificazione economica.
Comune, Provincia e Regione, si facciano carico delle situazioni di difficoltà, di povertà, del grande disagio sociale esistente in città, inevitabilmente connesso alle crisi industriali, costituendo un grande “fondo di solidarietà” di almeno 20 milioni di euro, che dovrà essere utilizzato come volano di pronto intervento. Tale fondo dovrà essere utilizzato per erogare piccoli prestiti alle famiglie in difficoltà e utilizzato come leva finanziaria con alcune delle banche locali.
Finisco con una nota identitaria. Il mio impegno civile si colloca nel centro sinistra, nel Pd che è l’unica grande speranza per una proposta di solidarietà, di valorizzazione del merito, del tessuto sociale della comunità.
Avv. Enrico Biguzzi

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