di Giorgio Forti, Giorgio Canarutto, Paola Canarutto, Marina Del Monte, Miryam Marino, Carla Ortona, Renata Sarfati, Stefano Sarfati Nahmad, Susanna Sinigaglia, Ornella Terracini di Rete-ECO (Rete degli Ebrei contro l'Occupazione)
Israele ha attaccato Gaza con 100 aerei da combattimento, missili ed elicotteri Apache, uccidendo, all'ora in cui scriviamo, circa 350 persone tra cui un numero elevato di donne e bambini. Prima di questo, da oltre due anni ha strangolato gli abitanti (1 milione e mezzo circa) imponendo il blocco dei rifornimenti di cibo, carburante, energia elettrica. Ha bloccato l'entrata ed uscita degli abitanti compresi i malati gravi, ridotti alla fame e privi di possibilità di curarsi e lavorare. L'economia della Striscia è stata distrutta dal blocco completo di esportazioni ed importazioni: mancano i materiali (cemento, ecc) per costruire, per l'industria e l'agricoltura. I prodotti tradizionali del luogo, ortaggi e frutta, marciscono nei magazzini a causa del blocco israeliano. Anche i soccorsi delle Nazioni Unite e di alcuni Paesi europei sono stati gravemente ostacolati, ed impedita l'attività di associazioni di cooperazione.
Gaza ha tutto l'aspetto di una prigione a cielo aperto. La precaria tregua stabilita nel 2008 è stata rotta da Israele con un attacco che ha ucciso, nel novembre scorso, 7 persone.
Alcuni palestinesi ( in realtà non si sa chi siano, ma sembra giusto metterli in conto ad una parte almeno di Hamas, poiché Hamas non li ha sconfessati) hanno reagito lanciando razzi Qassam contro le abitazioni israeliane al confine con la Striscia, principalmente nella cittadina di Sderot e dintorni. Questi razzi, assolutamente inefficaci dal punto di vista militare, possono essere diretti solo con grossolana approssimazione, e sono la manifestazione di una volontà di resistenza che si esprime in modo velleitario ed assurdo, e criminale perché rivolto contro civili: essi servono soprattutto ad Israele, come pretesto per continuare il mai interrotto blocco, ed ora la strage.
Abbiamo visto i ministri israeliani parlare della necessità di difendere i loro cittadini dai razzi sparati dal territorio di Gaza, con una cinica ed inverosimile ripetizione della favola del lupo e l'agnello. La ministra degli esteri è comparsa in tv per dire che ora basta: nonostante il dolore per i bambini colpiti, «è ora di far cessare la minaccia contro Israele». Questa volta, neppure la stampa dell'Europa occidentale sembra disposta a credere a queste menzogne, salvo una parte consistente di quella italiana, assuefatta alla autoprivazione della libertà di espressione per opportunismo conformista.
La politica di Israele, con la coraggiosa eccezione di una piccola minoranza a cui va reso merito, la miriade di piccoli gruppi organizzati che esercitano una attivissima opposizione in nome degli ideali di giustizia e libertà, uguaglianza e pace ( vogliamo qui ricordarli tutti con simpatia e solidarietà: ci si permetta anche di additare i giovani e giovanissimi che rifiutano il servizio militare come occupanti ed oppressori nei territori palestinesi), è tuttora dominata dall'ideale nazionalista del sionismo che vuole, dopo stabilito lo Stato Ebraico, farlo più grande e forte, invincibile rifugio degli Ebrei dispersi nel mondo. E per questo, invece di cercare amicizia e cooperazione con il popolo palestinese che hanno cacciato dalla sua terra con la violenza ed il disprezzo, in modo continuato dal 1948 ad oggi, si affida alla forza delle armi.
L'estrema violenza ed ingiustizia di tutta la politica israeliana, dalla cacciata dei palestinesi ad oggi, è ora culminata nell'eccidio di Gaza, che ricorda altri eccidi che non vogliamo qui citare uno per uno, ma che gli israeliani e gli ebrei della diaspora dovrebbero aver ben presenti, ed insegnare alle nuove generazioni perché rifiutino la violenza nazionalista e razzista.
Ricordando l'introduzione di Primo Levi al suo esemplare libro «Se questo è un uomo», affermiamo che quando il disprezzo per lo straniero, il diverso, diventa il fondamento di una società, si arriva al lager. La strage di Gaza, insieme all'oppressione dei palestinesi nella Cisgiordania, alla loro discriminazione in Israele, è già ben inoltrata su questa strada.
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