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La mer, la fin...

giovedì 17 aprile 2008

Vendola: «Per gli elettori l'Arcobaleno è solo un logo che copriva roba vecchia»

Una impietosa ma interessante analisi di Nichi Vendola
MV

Vendola: «Per gli elettori l'Arcobaleno è solo un logo che copriva roba vecchia» - 17/4/08


Intervista di Simone Collini col Presidente della Giunta regionale pugliese - da Unita.it
«L'Arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie. E anche probabilmente inefficaci rispetto all'agire politico».
Nichi Vendola è impietoso nell'analisi del perché Prc, Pdci, Verdi e Sd sono rimasti fuori dal Parlamento. Adesso, dice il governatore Puglia, quello su cui si concentrano le speranze di risalire la china, «dobbiamo accelerare quel cantiere che è stato solo annunciato sulla scheda elettorale, ma che non è mai partito».

Veltroni giudica un limite che la Sinistra arcobaleno non sia rappresentata in Parlamento. È anche lei tra quanti lo giudicano corresponsabile, per via dell'appello al voto utile, di questo risultato?
«A me piace indagare le cause piuttosto che i colpevoli. L'analisi così può essere più limpida e meno grondante di risentimenti».

E la sua analisi a che conclusioni porta, presidente Vendola?
«Il terremoto è stato provocato dalla delusione per il governo Prodi, che diventa un giudizio folgorante per noi tenendo a casa una percentuale elevata di elettori, dall'attrazione fatale verso il voto utile in un Paese che ha evidentemente metabolizzato più di quanto non immaginassimo tendenze culturali di tipo americano, e dal fatto che una parte del nostro elettorato operaio e popolare ha trasformato la propria insoddisfazione in un salto verso il voto leghista. Queste sono le spiegazioni di quanto avvenuto, la radiografia di un collasso».

E questo collasso, come dice lei, non vi era stato preannunciato in qualche modo?
«Diciamo che l'indebolimento cardiaco ha ragioni di lungo periodo. E chiaramente era insufficiente, di fronte al cuore debole della sinistra, un mero cartello elettorale».

Era soltanto questo la lista Sinistra arcobaleno, secondo lei?
«L'Arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie, cose probabilmente inefficaci rispetto all'agire politico. Non è stato metabolizzato come il segno di un processo nuovo, come la prima prova del cantiere della sinistra che verrà».

Come ripartire?
«Ci sono due strade. Una è quella del suicidio, attraverso la ritirata burocratica negli accampamenti ridotti dell'identità».

Una risposta a quanti, come i vertici del Pdci, sostengono che avete perso perché avete abbandonato i simboli tradizionali e propone di ripartire dalla falce e martello?
«Se c'è qualcuno che intende consolarsi con questo tipo di elucubrazioni è libero di farlo. Però mi sembrano riti di esorcismo, piuttosto che analisi della realtà. Si può anche dire: è stato quel che è stato perché non c'era bisogno di una nuova sinistra, bisogna sventolare le bandiere della vecchia sinistra, riorganizzare le tende e gli eserciti. È un'ipotesi, certo. Ma io la considero un suicidio. E devo anche dire che non mi stimola molto, né culturalmente né umanamente».

L'altra ipotesi, allora?
«Per chi ha ancora dentro la propria testa una lezione di marxismo non dogmatico è l'analisi spietata del mondo di oggi, la costruzione di un cantiere che non è il museo della gloria del passato ma che è il luogo plurale e aperto in cui una nuova soggettività possa interloquire con le domande e i problemi del ventunesimo secolo. Bisogna ricostruire il proprio campo, i propri strumenti dell'agire politico, cioè il cantiere dell'Arcobaleno, quello che non è mai partito, che è stato solo annunciato su una scheda elettorale».

Non è mai partito dice? E gli stati generali, il simbolo unitario, il lavoro comune per le liste?
«Allora diciamo che è partito lentamente, molto lentamente, ma che ora deve ingranare la marcia del coraggio innovativo. Questa è l'unica prospettiva che io considero utile per la sinistra, per una sinistra che voglia essere utile al paese. Tutto il resto mi pare appartenere al folclore».

Questo processo richiede un ricambio delle classi dirigenti?
«L'ho detto prima della sconfitta elettorale. Ho parlato di me, ho detto che abbiamo il compito di lavorare per passare il testimone a una nuova generazione, e farlo in tempi rapidi. Ci vuole un nuovo alfabeto della sinistra, una nuova conoscenza della geografia del lavoro e dei lavori, c'è bisogno della disseminazione di luoghi nuovi che diano significato alla politica intesa come costruzione di una comunità».

Passare il testimone a una nuova generazione dice, eppure in molti si aspettano che sia lei a guidare la fase costituente della nuova sinistra.
«In questo momento dobbiamo decidere che cosa fare, e quindi prima di tutto dobbiamo scegliere una delle due strade indicate prima. Poi, insieme, in un lavoro molto collegiale, dobbiamo edificare il cantiere. E in esso tutto deve essere messo in discussione, anche le forme di costruzione delle leadership. Perché può darsi che un nuovo soggetto della sinistra plurale abbia bisogno di una leadership eterodossa rispetto a quelle conosciute».

In che senso eterodossa?
«Si può pensare a una leadership duale, o a rotazione, cioè a meccanismi diversi da quello carismatico e anche autoritario del leader e che invece esaltino la dimensione del lavoro collegiale».

A luglio il Prc andrà a congresso e si profilano almeno due mozioni contrapposte, quella di Giordano sul soggetto unitario e quella di Ferrero sulla federazione di forze: diamo per scontato che lei sosterrà la prima mozione?
«Di scontato c'è un principio di realtà, una consapevolezza del passaggio d'epoca che già ci ha travolti e che ora ci chiede una straordinaria capacità d'invenzione. Perché altrimenti qualcuno in questa galassia potrà anche sopravvivere, ma senza il significato che la sinistra deve avere. La sinistra ha significato nel rapporto con mondi vitali. Fuori da questo, se è soltanto la perpetuazione di pezzi di ceto politico e di burocrazie, che naturalmente tendono a riprodursi incuranti degli snodi reali della storia, finisce di avere significato. Dopodiché, naturalmente, ognuno si accontenta delle ambizioni che è capace di coltivare».

C'è chi dice che se invece di Bertinotti a candidarsi fosse stato lei avreste dato un maggiore segnale di novità.
«La novità è un processo molto più complesso, e trovo molto ingeneroso caricare Fausto Bertinotti di una responsabilità che invece grava sulle spalle di tutti. Una responsabilità che riguarda la difficoltà di leggere una fase, una transizione. Ci siamo trovati improvvisamente con un Parlamento svuotato di importanti culture democratiche del Novecento. Una cesura. E noi l'abbiamo attraversata senza accorgercene. Anzi, è quando ci siamo inciampati rovinosamente che ci siamo accorti che c'era».

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