TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

giovedì 4 giugno 2009

Prato. E i contoterzisti?

Dopo l'esperienza di Prato Artigiana, ritroviamo Manuela Biliotti e il "Movimento Contoterzisti"... In una cosa, ha ragione: la politica, sul tema, è stata particolarmente assente...
MV

da la Nazione del 04/06/09
«Ma almeno aiutateci a chiudere» La rabbia degli artigiani del Movimento contoterzisti. «La politica è assente»

di ROBERTO DAVIDE PAPINI
PER LORO, il tavolo di distretto, la mobilitazione generale, la manifestazione del 28 febbraio, l’impegno di ministri, banche e associazioni di categoria non è valso a nulla: «A noi non ha portato niente, non c’è stato nessun cambiamento. Zero assoluto», ci dice Alfredo Nunziata, titolare dell’omonima orditura e uno degli artigiani che fanno parte del “Movimento contoterzisti” guidato da Manuela Biliotti. Un movimento di artigiani piccoli e non solo, che chiede interventi concreti alla politica, alle associazioni, al mondo del credito. «Finora ci sono state solo chiacchiere», ci dice Donato Vichi, titolare del Gruppo Vichi di Agliana (230 dipendenti, 80 dei quali in cassa integrazione). Terzisti piccole e grandi che si sentono abbandonati da tutti: «Se dobbiamo chiudere, almeno aiutateci a farlo» dice Biliotti presentando un calcolo della sua associazione, secondo il quale «a Prato ci sono almeno duecento aziende artigiane che vorrebbero o dovrebbero chiudere, ma che non lo fanno perché non hanno i soldi e per aiutarle a chiudere occorrono nove milioni di euro». Già, perché nella disastrosa crisi pratese c’è anche questo, chi vorrebbe chiudere ma non può: «Io ho 64 anni, ho questa orditura dal 1972 — dice Nunziata — ho sempre pagato le tasse fino all’ultima, ho lavorato una vita (prima avevo i telai per conto mio) e mi ritrovo in una situazione tale che andando avanti continuo a perdere, se chiudo devo tirare fuori 100mila euro tra debiti con le banche e quello che devo dare ai lavoratori in caso di cessazione dell’attività».

SITUAZIONE drammatica, dunque, per molte realtà che alla contrazione del lavoro dovuta alla crisi strutturale del tessile pratese e alle turbolenze internazionali aggiunge una situazione di concorrenza sleale all’interno del distretto. «Ormai è pieno di persone che ti chiedono con chi lavori e a quanto lavori e poi ti fregano offrendosi alla metà, a me è capitato» racconta Nunziata. «Manca completamente una moralità all’interno del distretto — dice Vichi — la capacità di capire che se c’è gente che si continua ad offrire al di sotto delle tariffe minime, alla fine va a gambe all’aria tutto il distretto». Un’accusa verso i “furbi” tra i contoterzisti (comunque, a loro volta alla disperata ricerca di commesse), verso i committenti che premiano chi si offre sotto costo, verso le associazioni di categoria dell’artigianato, Cna e Confartigianato («che non fanno nulla di concreto», secondo Biliotti) e verso la politica. «I politici, a tutti i livelli sono i grandi assenti — dice Giuseppe Pellegrini, direttore tecnico-commerciale del Gruppo Vichi — forse non si rendono conta di quanta gente vive e lavora nel tessile a Prato e di quanto, invece, sia forte l’evasione e l’illegalità nel “distretto parallelo” da parte dei cinesi. servono misure reali e controlli veri».
Per Serenella Toffoli, titolare dell’orditura “Federica” «il problema non è solo di aiutare a chiudere chi non ce la fa più, ma anche di aiutare chi vuole andare avanti. Solo che parlando con i committenti si ha la netta sensazione che nessuno abbia idee su quali prospettive ci siano per il futuro, le cose continuano a peggiorare e non si vede uno sbocco».
Sul banco degli accusati c’è ancora il mondo del credito. Biliotti attacca: «Nonostante tutti gli appelli e le mobilitazioni non è cambiato nulla. Anzi, il direttore generale di CariPrato, Giampiero Bernardelle, aveva promesso dal 15 aprile il blocco dei mutui per i privati e a tutt’oggi questo non è operativo. Quello per le imprese è attivo, ma ci possono rientrare in pochissimi». Così, il rischio è che siano sempre di più a chiudere (se ci riescono) impoverendo ulteriormente il distretto. «Nonostante abbia 80 lavoratori in cassa integrazione — spiega Vichi — ogni mese spendo tra stipendi, affitto, mutui, 650mila euro e ne fatturo 400mila ma solo nei mesi in cui c’è lavoro, sennò sono meno. Come possiamo continuare così?». Oltretutto, Vichi avanza un timore: «Questa continua emorragia di aziende che chiudono, lascia ampi spazi alla mafia, la camorra, a chi ricicla denaro sporco. E’ un rischio molto concreto».
Ma prima di questo c’è il dramma quotidiano di tanti imprenditori, sintetizzato da Toffoli: «Cosa dobbiamo fare? Davvero ci resta solo la scelta di metterci una corda al collo?»

Nessun commento: