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La mer, la fin...

martedì 7 aprile 2009

Terremoto. Imprevedibilità vera e supposta.

Gli esperti: previsioni impossibili, vanno messe in sicurezza le case
"Ci sono zone in cui si sa che ci sarà un sisma nel giro di anni, ma è un gioco del lotto"

"I segnali premonitori non sono affidabili"
Ma nel '75 la Cina salvò 150 mila persone
Ad Haicheng furono evacuate un milione di persone ma nel '76 la strage fu inevitabile
di ELENA DUSI

"I segnali premonitori non sono affidabili" Ma nel '75 la Cina salvò 150 mila persone
ROMA - Non gli mancano indizi da seguire, tracce da annusare, pezzi del puzzle da incollare. Eppure mai i segugi dei terremoti riescono a centrare l'obiettivo, prevedendo esattamente dove e quando avverrà un cataclisma.
L'emissione di gas radon da parte delle rocce sotto stress, le perturbazioni del campo elettromagnetico, la presenza di uno sciame di piccole scosse, perfino gli scricchiolii e i gemiti che il sottosuolo produce quando la sua resistenza è sul punto di esaurirsi, o il nervosismo degli animali, sono segnali premonitori cui gli scienziati prestano ascolto. Ma si tratta di indizi erratici, utili solo a battersi una mano sulla fronte e dire ex post "ma come ho fatto a non capirlo prima".
Nonostante quarant'anni di sforzi e finanziamenti, pochi settori della scienza si sono rivelati così frustranti come quella branca della geologia che cerca di anticipare il percorso delle onde sismiche. La lunga serie dei fallimenti ha un'unica eccezione. Gridarono una volta al successo i cinesi, quando nel 1975 una combinazione di segnali disegnò con sufficiente chiarezza il quadro di un imminente terremoto.
Tutto, dai comportamenti bizzarri di animali domestici e serpenti alla variazione improvvisa dell'altezza di colline e bacini acquiferi, mise in allarme gli scienziati. Nell'inverno del 1975 le autorità della provincia di Haicheng ordinarono l'evacuazione in massa di un milione di persone. Un sisma immenso di magnitudo 7,3, che avrebbe potuto fare 150mila vittime, si presentò puntuale all'appuntamento il 4 febbraio e non trovò nessuno da uccidere.
Sembrava fatta, per la scienza delle previsioni dei terremoti. E invece il perfido genio dei sismi si prese una rivincita appena un anno dopo, poco distante dall'Haicheng. Osservando esattamente gli stessi segnali, nessuno fra gli scienziati cinesi riuscì a prevedere un sisma ancora più forte, che il 28 luglio del 1976 rase al suolo la città di Tangshan e uccise 250mila persone.
"Questo episodio è davvero emblematico. Probabilmente i segnali precursori dei terremoti esistono. Ma non sono affidabili" spiega Aldo Zollo, professore di sismologia all'università di Napoli ed esperto di "early warning": sistemi di allerta immediata per minimizzare i danni di un sisma nel momento in cui arriva. "Una volta il segnale precursore si presenta, ma la volta successiva resta completamente assente. Possiamo predisporre piani di evacuazione di città intere e sfollare migliaia di persone sulla base di indizi così volatili?".
Se il primo ostacolo delle previsioni sismiche è riuscire a elaborarle, non da meno è il problema di tradurle in pratica. "Era da febbraio che notavamo le piccole scosse e inviavamo i nostri dati alla Protezione civile" dice Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. "Ma ci rendiamo conto che messaggi simili hanno un'utilità pratica pari a zero. Uno sciame di piccole scosse non è assolutamente un indizio sufficiente per annunciare un grande terremoto in arrivo. Quanti sciami registriamo che non hanno conseguenze? Le probabilità di cui parliamo si aggirano intorno all'uno su 10mila. Troppo poco per prendere misure concrete".
Previsioni attendibili possono essere raggiunte, ma solo a patto di allargare o restringere la scala del tempo come un elastico. "Sappiamo che esistono alcune zone ad alto rischio sismico e ci aspettiamo che nel giro di alcune decine di anni lì si presenti un terremoto" prosegue Zollo. "È quel che avvenne in California qualche anno fa. Fu notato un segmento della faglia di Sant'Andrea inattivo da molti anni. Troppi, secondo la cadenza delle scosse registrate nel passato. Così si diffuse l'allarme che presto il sisma si sarebbe ripresentato per riequilibrare i conti". Ma prevedere un terremoto in questo modo è facile quanto azzeccare l'uscita di un numero al lotto.
Non è nemmeno impossibile lanciare l'allarme in anticipo, se ci si accontenta di rubare al sisma solo pochi secondi. "Le nostre informazioni viaggiano più rapidamente delle onde sismiche" spiega il docente napoletano. "Registrare un terremoto all'Aquila nell'esatto momento in cui avviene potrebbe permetterci di avvertire Roma con qualche decina di secondi d'anticipo. In Giappone e in California hanno messo a punto un prototipo di "early warning" in grado di avvertire ospedali, vigili del fuoco e torri di controllo, di bloccare l'erogazione del gas, il traffico sui viadotti e sulle ferrovie. Anche in Irpinia abbiamo allestito una rete simile in via sperimentale".
Ma se avere previsioni esatte è impossibile, si potrebbero forse sfruttare meglio le informazioni in nostro possesso. "Le mappe del rischio sismico sono a disposizione di tutti, e l'Abruzzo è registrato fra le zone a più alta probabilità di terremoti" sostiene Amato. "Le regole della prevenzione vorrebbero che tutti gli edifici nuovi fossero costruiti per resistere ai terremoti, e che quelli vecchi fossero rinforzati. La sicurezza edilizia dovrebbe essere un dato acquisito, e delle previsioni esatte dei terremoti noi non dovremmo neanche sentire bisogno". Non è un caso che nei laboratori nazionali del Gran Sasso - per loro natura costruiti rispettando criteri di sicurezza assai rigidi - la scossa non abbia causato danni. "La presa dati è andata avanti senza interferenze. I nostri criteri di precauzione sono sovradimensionati rispetto ai sismi tipici della zona" spiega Roberto Tartaglia, ingegnere dell'Istituto nazionale di fisica nucleare. "Stiamo parlando di un sisma di intensità non forte, ma moderata - sottolinea Amato - davanti al quale anche gli edifici in superficie avrebbero dovuto restare in piedi".
(7 aprile 2009 la Repubblica.it)

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