TANTI INTERESSI PRIVATI NON FANNO UNA CITTA'!

La mer, la fin...

domenica 12 aprile 2009

Prato. Figli d'arte, banchieri e sindacalisti apolitici.

Cisl, un partito apolitico. Sssè! E come no!

Bla, bla bla sindacalesi provocati dall'annaspare in acque stagnanti, mirando soltanto alla propria conservazione.
Di completamento della filiera, di rispetto delle regole, di rapporto banche-aziende, bisognava occuparsene già dieci anni fa. Evidentemente allora si dormiva tranquilli nelle camere del lavoro. Si dormiva.
mv


da il Tirreno del 12/04/09
Banche e imprenditori: ora tocca a voi «E se i figli non sono bravi in azienda, meglio affidarsi ai manager» Il segretario della Cisl Bellandi sul distretto «Qui rapporti buoni con la Cgil: tutti pensiamo ai lavoratori»
PRATO. Il futuro della città dipende molto dagli imprenditori e dalle banche. E’ loro che possono dare una scossa al distretto. La classe imprenditoriale, riprendendo la voglia di investire nelle loro attività e nel scegliere capitani migliori a guidare le loro aziende. Gli istituti di credito sentendosi più parte della città e sentendo una responsabilità sociale nonostante le difficoltà dei parametri che sono costretti a rispettare.
Ognuno insomma dovrebbe uscire dal calcolo del singolo interesse e guardare di più, e con i fatti, allo sviluppo di Prato. E’ questa l’opinione del segretario della Cisl Stefano Bellandi che, diretto e senza giri di parole, va dritto ai problemi che bloccano (fermo restando le difficoltà del mercato) un risveglio del distretto.
Lei è arrivato alla guida della Cisl nel momento di maggiore crisi. Come vede oggi la situazione?
«Ora tocca agli imprenditori. Serve un impegno più forte da parte loro, la volontà di reinvestire nelle aziende. E di scegliere le guide giuste. Gli Agnelli non sono tutti bravi a fare le macchine. Lapo fa le magliette ma non decide le sorti della Fiat. Per quello ci sono i manager. E anche a Prato è necessario riconoscere che non tutti i figli degli imprenditori sono bravi a fare il lavoro dei loro padri. Ci sono giovani bravi, per carità, ma si deve prendere atto che non lo sono tutti e anziché rovinare quanto fatto dai loro nonni e padri, dovrebbero lasciare spazio ai tecnici. Bene se fanno i presidenti dei cda, peggio se fanno gli gli amministratori delegati pur non avendo le necessarie competenze. E inoltre serve che una serie di attori del distretto prendano coscienza di avere anche un ruolo sociale. Gli imprenditori ma anche le banche. Aggiungo. Vorrei che Prato scommettesse sul futuro e riuscisse a prevenire le crisi anziché subirle».
Cioè.
«Si lavora a testa bassa quando ci sono gli ordini. E si piange quando non ci sono più. Serve darsi delle prospettive. E poi c’è una concorrenza spietata tra aziende, anche sleale. Si parla tanto di regolarità etica ma, nei fatti, non c’è. Rispetto a questi temi deve cambiare la sensibilità».
Molte aziende chiudono per mancanza di liquidità. Qual è il ruolo che gli istituti pratesi dovrebbero avere?
«Le banche devono avere una responsabilità sociale nei territori in cui operano. Devono dare la possibilità alle imprese di svilupparsi. Le banche stanno sempre più dando i soldi a chi li ha. Per chi ha un progetto, anche innovativo, è sempre più difficile vederselo finanziato. E molte aziende chiudono perché, pur avendo investito, si trovano con problemi di liquidità. Comprendo comunque che ci sono parametri che gli istituti devono rispettare».
Ed ecco che viene fuori il problema della sottocapitalizzazione delle aziende.
«E’ vero. Gli imprenditori dovrebbero essere i primi a credere nelle loro aziende ma c’è da evidenziare che la tassazione del lavoro è squilibrata rispetto a quella finanziaria. Gli investimenti in Borsa sono tassati al 12,50%, il lavoro oltre il 20%, come minimo. E ora, anche per Prato, sono preoccupato per la fusione tra Monte dei paschi e Banca Toscana».
Ossia.
«L’esperienza passata ci dice che con le fusioni vengono ridotte le linee di credito per le aziende. Spero che non accada perchè in questo momento sarebbe un problema ulteriore».
Il rapporto tra i tre sindacati in città sembrano molto buoni. Eppure a livello nazionale non è così. Com’è possibile che non ci siano ripercussioni.
«Tutti e tre i sindacati fanno l’interesse dei lavoratori. Qui si lavora sul campo e se un accordo va incontro alle esigenze dei dipendenti di un’azienda è evidente che c’è condivisione. E comunque c’è una conflittualità romana di impostazione. Anche in Toscana i rapporti sono attimi. Noi, come ha detto Pezzotta, non facciamo il tifo perché una manifestazione faccia fiasco anche se abbiamo la sensazione che non ci si basi sulla bontà dell’accordo in base al testo ma da quali politici è condiviso. Non so una manifestazione alle soglie delle Europee chi andrà a illuminare. La Cgil è più vicina alla politica, noi invece siamo apolitici. Detto questo, preciso, la Cgil è un compagno di viaggio e non un nemico».
Ritiene che a Prato, come è accaduto nel Nord, ci sia una crisi nella rappresentatività dei sindacati?
«Per esperienza vissuta dico che i lavoratori del distretto si sentono vicini al sindacato. Ai referendum unitari la partecipazione è sempre stata sopra la media nazionale. E’ inevitabile riconoscere però che siamo in una fase difensiva: lavoriamo come prima cosa per salvaguardare il posto di lavoro. Dovremo lavorare di più sulla concertazione che è solo sulla carta».
Un’ultima cosa. Le confezioni sono più delle aziende tessili. E molte sono gestite da imprenditori cinesi.
«Con questi numeri non si può pensare che non ci siano italiani che lavorano con i cinesi. Sicuramente ci sono aziende pratesi che forniscono stoffe alle confezioni cinesi. Se non si è arrivati a chiudere la filiera (tutti dicono che la redditività è nella realizzazione del capo finito) significa che qualcuno ha interesse a far sì che questo non accada».
Ilenia Reali

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